venerdì 13 maggio 2005

IL MALE DELL’AMERICA

Il mostruoso deficit commerciale Usa e l’aumento della mortalità infantile sono solo alcuni degli indicatori del declino americano. L’Europa sta salendo al vertice delle preoccupazioni americane. Dopo la catastrofe irachena la razionalità spingerebbe a miti consigli, ma nella storia, e nell’uomo, esiste l’irrazionalità e questa spinge verso l’Iran. Un’oligarchia che non ha quasi più nulla di democratico. Intervista a Emmanuel Todd.

Emmanuel Todd, storico e antropologo, è ricercatore presso l’Ined, l’Istituto Nazionale di Studi Demografici di Parigi. Il libro cui si fa riferimento è Dopo l’impero, Marco Tropea Editore, 2003. Nel 2004 in Italia è stato tradotto anche L’illusione economica, la cui pubblicazione in Francia, presso Gallimard, è del 1998.

Nel tuo ultimo libro annunciavi il declino dell’impero americano. A distanza di due anni e all’indomani della rielezione di Bush, è cambiato qualcosa?

Comincerò da ciò che in quella ricognizione si è rivelato vero. Credo intanto che i dati oggettivi si siano dimostrati corretti in termini di predizioni, anzi c’è stata addirittura un’accelerazione, in particolare nello sbilanciamento economico del sistema americano. Il deficit commerciale è diventato, se possibile, ancora più drammatico: oggi si aggira infatti attorno ai 700.000 miliardi di dollari. L’indebolimento degli Stati Uniti poi diventa ancora più preoccupante se si considera la crescita del deficit degli scambi di prodotti ad alta tecologia.

Anche gli economisti conservatori ortodossi sono rimasti molto sorpresi dall’irreversibilità di questo trend: l’indebolimento del dollaro non è stato d’aiuto all’esportazione americana. Insomma, nonostante il dollaro sia al collasso, l’export non è nemmeno in una fase di stagnazione, è addirittura diminuito. Questo segnala una sorta di debolezza strutturale del sistema americano che anche la gente comincia a percepire.

Ecco, se c’è una novità è rappresentata dal fatto che gli stessi americani stanno cominciando a rendersi conto degli aspetti in ombra del mito dell’economia americana. E se pensiamo che il vero mito americano è proprio quello economico, beh, non è una novità da poco. Ciò che oggi impedisce al dollaro di crollare è il comportamento responsabile e coscienzioso delle banche centrali cinesi e giapponesi.

Dicevi che recentemente sono accadute delle cose importanti e significative anche sul piano simbolico…

Uno dei punti di svolta per me è stata la costruzione del nuovo Airbus. Non sono sicuro che sia stata pienamente compresa la portata di questo evento, che cosa questo significhi dal punto di vista americano: il più grande aereo civile al mondo è stato prodotto in Europa, e quindi i boeing scompariranno, il 747 è già diventato obsoleto. Per gli storici futuri questa sarà considerata una data importante perché significa che il centro di gravità economico è tornato nel Vecchio mondo, non solamente in Europa, ma nell’Eurasia.

Se poi proviamo a selezionare, isolare, alcuni indicatori statistici normalmente utilizzati per misurare l’indebolimento di una nazione, e in questo caso l’autodistruzione del sistema economico e sociale americano, c’è un’altra sorpresa: ieri guardando le ultime notizie dell’agenzia Reuters su internet ho scoperto che il tasso di mortalità infantile negli Usa è in crescita .
Questo per me è un indicatore molto importante. Fu infatti la crescita dei tassi di mortalità infantile a farmi predire il collasso dell’Unione Sovietica.

In Dopo l’Impero, avevo già parlato del tasso di mortalità infantile che negli Stati Uniti era relativamente alto (mi sembra fosse al 17° posto, quindi piuttosto in basso nella scala) e segnalavo come l’America non fosse così ricca come sembrava. A quel tempo tuttavia avevo imputato l’aumento all’incremento della mortalità infantile tra i neri americani, infatti considerando l’intera popolazione americana, il tasso era ancora in discesa. Ebbene, ora è globalmente in crescita e questo è molto preoccupante. Ogni settimana abbiamo quindi nuovi segnali dell’indebolimento, del collasso del sistema americano. Questo è un argomento molto poco piacevole. Assistere alla disgregazione di quella che era una società sana e di benessere è triste. Ma come storico del futuro, come prospettivista, devo ammettere che sono sollevato, non mi ero sbagliato…
Nel libro tuttavia traevi delle conclusioni ottimiste, mentre oggi paventi l’aggressione all’Iran…

E’ vero. Non solo, dicevo che non aveva più senso parlare di impero americano. Le stesse imprese belliche le avevo definite azioni di “militarismo teatralizzato”. Un militarismo, cioè, finalizzato a farci dimenticare la crescente debolezza degli Usa e a far rimanere vivo il mito di un’America al centro del mondo…

Del resto, se si guarda al vero potere militare, la Russia è ancora lì, anche la Francia ha la capacità di resistere alla minaccia nucleare, possiede armi di distruzione di massa e questo fa una grossa differenza rispetto agli altri piccoli paesi. Insomma l’ottimismo era fondato su alcune precise considerazioni: ciò a cui stiamo assistendo è solo teatro e ciò che dobbiamo fare, come europei, è semplicemente non seguire gli Usa in Iraq, lasciarli avere la loro punizione. Dopodiché come per magia si sarebbe ristabilito l’equilibrio planetario, con il sistema americano che dopo la caduta sarebbe tornato al suo posto…
Non rinnego tutto questo, ma certo devo riconoscere che si tratta di analisi molto astratte e razionali, in cui l’azione si riduce appunto a effetto lineare della razionalità umana.

La storia dell’umanità invece ci dice che gli uomini non sono solo esseri razionali, ci offre tanti esempi di stati o nazioni che senza avere il consenso necessario per la conquista del mondo, ci hanno comunque provato.

Credo allora che sia indispensabile una maggiore comprensione degli elementi irrazionali delle politiche americane. Questo è un aspetto che, effettivamente, io avevo trascurato. E tengo a precisare che non sono mai stato antiamericano, casomai potrei definirmi un post-americano. Credo che oggi, se vogliamo capire cosa sta succedendo, bisogna concentrarsi sugli aspetti irrazionali, di follia, della società e della politica americana. In questo senso, il comportamento delle élite è uno specchio importante. Ovviamente loro non possono non vedere che il mito del dinamismo economico americano sta svanendo e che c’è uno spostamento verso l’Europa, rispetto alle tecnologie, alla qualità delle cose, ecc.

E’ impossibile che la generazione di Rumsfeld non capisca cosa significa il deficit commerciale o il ritardo tecnologico, non sappia che oggi l’Europa ha treni migliori, aerei migliori, che tutto è migliore. Devono saperlo. E tuttavia, anche se è tutto evidente, è come se ci fosse un meccanismo di negazione della realtà: rifiutano di vedere, non possono crederci. In queste élite americane c’è evidentemente una sorta di livello subconscio che, appunto, rifiuta di vedere. Ma quando si è intrappolati in questi stati mentali che fanno resistenza all’emergere della realtà, qualunque psicanalista di buon senso spiegherà che si sta attraversando un momento molto pericoloso. Quando Bush parla del male in realtà parla di sé e dell’America. Dovrebbe parlarne con uno psicanalista.

Dov’è questo male? La gente è ossessionata dal male, ma il male è dentro, non fuori…

Allora, tornando a noi, essendo innegabile che l’America non è più così potente come in passato, e visto che l’Iraq si è trasformato in una punizione, in una giusta lezione, vien da pensare che razionalmente la conclusione obbligata sarebbe il ritorno degli Usa alle loro politiche precedenti, a più miti consigli, insomma. Se però ci si addentra nel livello non razionale, in quella zona buia della negazione della realtà, ecco, vien da pensare che attaccheranno l’Iran, che si butteranno in un’impresa ancor più avventurosa e pericolosa. Del resto i discorsi su un possibile attacco all’Iran sono sempre più rumorosi. E con questi l’ipotesi che l’America prenda la china, folle, di una crescente aggressività…

La rielezione di Bush, se qualcosa ci ha fatto capire, è che il problema non è Bush, ma l’America e la società americana. Non sono invece sicuro che la gente abbia capito che forse stiamo per assistere, in termini storici, al fatto che un paese straordinario si trasformi in una specie di mostro.

Ho detto “forse”, in realtà non ne sono sicuro, ci sono molte domande, molti punti interrogativi senza risposta e tuttavia…
Sono tradizionalmente uno storico della scuola della “lunga durata”, dei processi lenti, e però posso dirti che entro quest’anno lo sapremo. Io vedo il 2005 come un anno estremamente pericoloso. Stiamo assistendo a un’impetuosa accelerazione del declino economico e tecnologico dell’America. Non è cosa da poco.

In questa visione che ruolo si delinea per l’Europa?

La situazione, in Europa, è di una specie di estraniamento. La mia impressione è che la popolazione in generale capisca abbastanza bene cosa sta accadendo negli Usa. Bush viene universalmente percepito come una figura pericolosa, come una specie di bullo guerrafondaio. L’America ugualmente è avvertita come un paese pericoloso. Insomma direi che le popolazioni nel loro insieme sono piuttosto consapevoli del problema, come pure i governi. Casomai arrivano a conclusioni differenti sul da farsi. (Beh, ecco non sono così sicuro che il governo italiano sia consapevole. Credo si debba ammettere che Berlusconi, grande amico di Bush, di Putin, ecc., sia un po’ difficile da inquadrare come figura).

Ad ogni modo, i governi francese, tedesco e spagnolo oggi sono piuttosto consci del pericolo. Credo tra l’altro che così vadano lette le recenti visite diplomatiche e politiche della Francia a San Pietroburgo, quando il ministro francese della Difesa ha incontrato la sua controparte russa, discutendo faccende non solo diplomatiche, ma “tecniche” rispetto all’Iran. Sono episodi che non vanno sottovalutati, che vanno decodificati. La Gran Bretagna è ancora divisa, ma anche il governo inglese è evidentemente consapevole di cosa sta accadendo. Allora, i governi, le persone in carica, sanno come stanno le cose. La gente sente anch’essa l’entità del pericolo. Quello che sappiamo è che c’è un piano rispetto all’Iran e che i governi francese, tedesco e inglese stanno lavorando per prevenire un’eventuale aggressione americana. Dall’altra parte, è ormai evidente che i governi francese e tedesco hanno smesso di considerare la Russia una minaccia, quanto piuttosto un partner essenziale alla sicurezza europea. E’ questo il significato della frase pronunciata da un diplomatico francese: “Non possiamo permetterci problemi tra Russia e Ucraina perché abbiamo bisogno della Russia”.

Tu sostieni che c’è invece un problema con i media europei…

Il problema nell’Europa occidentale direi che riguarda l’intellighenzia dei media, in particolare della stampa. Diciamo che la stampa e i media occidentali sembrano essere interessati moltissimo ai grandi valori filosofici, la democrazia, la libertà, i diritti umani, ora lo tsunami, eccetera, e per nulla alle vere relazioni di potere. Lo si vede bene da come viene rappresentata la Russia. Per i governi francese e tedesco la Russia è un alleato, un paese di cui abbiamo bisogno e con cui dobbiamo essere pazienti, rispetto al problema Cecenia, rispetto alle imperfezioni della nuova democrazia russa. Sui giornali francesi, invece, non si parla mai della Russia.

Su Le Monde, poi, c’è una specie di russofobia, per cui si troverà tutto su Beslan e la rivoluzione arancione in Ucraina, quasi nulla sulla Russia. E, attenzione, non sto criticando tutto questo. Forse però bisognerebbe tornare a usare le categorie di Max Weber: l’etica della responsabilità e l’etica della convinzione.

Se i governi europei agiscono in base all’etica della responsabilità, ecco che i media si muovono invece in base all’etica della convinzione. E nessuno sembra essere interessato ai veri problemi.

Per cui, come dicevo, quando i media parlano di qualcosa accaduto in Russia, in Ucraina, Georgia, si affidano solo a principi molto generali. Certo, è un atteggiamento molto generoso, vogliono difendere i ceceni, i georgiani, o gli ucraini e, tuttavia, non sembrano rendersi conto che la loro sicurezza, ovvero la nostra sicurezza come Europa Occidentale, è tornata a essere qualcosa da proteggere. Sembrano non rendersi conto che il mondo sta diventando un luogo molto pericoloso. Sembrano infine non rendersi conto che i geopolitici americani odiano l’Europa, che l’Europa viene ormai percepita dagli americani come una minaccia mortale.

Allora, dal mio punto di vista, il mondo sarà più sano e autoconsapevole e meno pericoloso se i giornalisti europei cominceranno ad avere anche una più adeguata percezione del declino americano, se smetteranno di parlare di questo fantomatico dinamismo americano; se si convinceranno che l’Europa sta diventando troppo potente agli occhi degli Usa. Siamo molto vicini al vertice nella loro lista delle priorità.

Il mondo dovrebbe capire che colpire l’Iran non significa solo colpire l’Iran, ma che questo ha di nuovo a che fare col petrolio e che l’Iran è all’interno del nostro perimetro di sicurezza, è all’interno della nostra sfera d’intervento.
Nell’ultima intervista avevi parlato di un mondo sempre più stabile, lo scenario che tracci ora sembra andare in direzione opposta…

Ma il mondo sta diventando un luogo di crescente stabilità. Il problema è appunto l’America. Non c’è contraddizione tra queste affermazioni.

Voglio dire, l’Europa è perfettamente stabile.

Certo, ci sono problemi, ma non minacce alla stabilità interna. La Russia stessa sta diventando più stabile sotto Putin, che non vuol dire che si sta democratizzando, ma certo sta conoscendo un periodo di crescente stabilità. Insomma il paradosso, mi pare, è che il vero pericolo è l’America.

Certo, se il Vecchio mondo e il Sudamerica stanno diventando più stabili ma l’America si sta trasformando in un fattore di disordine, non possiamo considerare il mondo più stabile, perché l’America è piuttosto grande.

Attaccare l’Iran poi sarebbe un’azione decisamente irrazionale, oltre che incontrollabile, perché metterebbe le forze militari americane in Iraq in una situazione terribile. La prima reazione sarebbe una recrudescenza della resistenza irachena che trasformerebbe il tutto nel peggiore degli incubi. La posizione americana poi diventerebbe molto difficile. Non si può infatti escludere che l’Europa potrebbe chiudere le basi americani nel proprio territorio e a quel punto il sistema strategico-militare americano crollerebbe immediatamente. Ma tutto questo appartiene, di nuovo, al discorso razionale.

Cosa ha fatto Hitler quando ha capito di non poter attaccare la Gran Bretagna? Ha invaso la Russia! La guerra è una specie di buco nero: le nazioni, gli stati entrano in guerra per motivi razionali, valori, interessi o altro. Ma quello è solo l’inizio. Una volta che entri, rimani intrappolato, nel senso che, una volta iniziata, la guerra segue le sue proprie leggi e dinamiche, che sono anche quelle dell’essere umano: quando cominci a lottare poi continui, perché tutto questo fa parte del nostro cervello primitivo. E quindi, anche quando viene meno l’obiettivo, o tutte le possibilità sono negative, tu andrai avanti a combattere. Nei processi bellici scatta come una sorta di pedagogia del male: la gente viene istruita ad agire malvagiamente. Non possiamo quindi escludere questa possibilità. C’è un elemento vizioso nell’uomo, che agisce con malvagità e che però seduce… Sì, in effetti sono meno ottimista…

Gli Stati Uniti hanno davvero paura dell’Europa?

Su questo mi piace citare Sasha Guitry, brillante commediografo francese, che scriveva storie di matrimoni e adulteri, insomma commedie leggere, à la parisienne, come dicono: “Le contraire de la vérité est déjà très près de la vérité” (il contrario della verità è già molto vicino alla verità, ndr). Allora, tutti questi intellettuali e geopolitici americani che, senza che sia stato loro chiesto, continuano a ripetere: “L’Europa non è un problema, l’Europa non è un problema, l’Europa non è un problema…”, a me fanno sorridere.

E’ come se nel mezzo di un caffè tra amici in cui si parla del tempo uno si mettesse a ripetere compulsivamente: “A me non piacciono le donne, a me non piacciono le donne…”; ecco noi penseremmo che ne è invece ossessionato. C’è sicuramente un’ossessione nei confronti dell’Europa, che peraltro è comprensibile. Una delle questioni sul tappeto oggi è anche la sostituzione del dollaro con l’euro e questo vuol dire infrangere un vero mito monetario. E fa paura. Lo ripeto: dal punto di vista economico il loro sistema si sta disintegrando. Ogni minuto la loro situazione peggiora: l’euro è sempre più potente, la Russia è più stabile e si sta riarmando e tra due anni la prospettiva è quella di una vera paralisi. E’ normale che le élite intellettuali e l’establishment politico siano terrorizzati e sentano il bisogno di sbarazzarsi della realtà il prima possibile.
E’ in corso un processo di erosione degli stessi fondamenti della democrazia in America?

Non si può nemmeno dire che ci sia un problema con la democrazia negli Stati Uniti. Semplicemente la democrazia è scomparsa e qualcosa di nuovo sta emergendo. E questo è un processo comunque molto affascinante, perché stiamo assistendo alla nascita di un tipo di società assolutamente nuovo. Un sistema democratico e individualista (dimentichiamo per un attimo i neri) si sta trasformando in un sistema caratterizzato da un’enorme disuguaglianza, che alla fine sta producendo la totale distruzione del processo democratico. Intendiamoci: negli Usa non c’è un autoritarismo distruttivo del tipo di quelli che portarono al nazismo o al comunismo, con le masse contadine, eccetera. Abbiamo ancora una società individualistica e in qualche modo la gente è libera, e tuttavia, all’interno di questo sistema antropologico-sociale che ha una sua stabilità, sta emergendo un elemento di dominazione e disuguaglianza che di fatto rende la libertà impossibile.
Si sta delineando un sistema davvero bizzarro in cui la gente continua a parlare di libertà, democrazia, e in cui però le elezioni sono assolutamente vanificate da un incredibile flusso di denaro; dove i liberi cittadini sono di fatto degli pseudo-sudditi.

Trovo che sia comunque un evento appassionante: sta nascendo un nuovo sistema, una nuova forma di potere attraverso un processo degenerativo della democrazia, dopodiché ci sarà un’altra cosa. In qualche modo gli americani si stanno trasformando in una forma di nuova “plebe”.

Altrettanto affascinante è questa capacità della società americana di autocontenersi, perché non si può spiegare un tale livello di vita, come è quello degli americani oggi, quando hai 700 mila miliardi di deficit.

Credo che a questo punto diventi anche più chiaro cosa intendevo quando parlavo del processo di negazione della realtà, dell’incapacità di avere una corretta percezione di ciò che sta accadendo. Parlando con un amico, che si lamentava anch’egli della cecità che c’è in giro, ho proprio ripensato al fatto che ci sono due tipi di caratteri intellettuali: c’è il dottor Pangloss, il personaggio del Candido di Voltaire, che pensa sempre che quello che c’è, la realtà, sia comunque la migliore possibile, “tout est pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles”. E poi c’è Cassandra.

A parte le relazioni con gli Stati Uniti, come vedi il futuro dell’Europa, il suo allargamento?

E’ il consueto caos. A mio avviso il problema, comunque, non è la Turchia. Non ho una vera opinione sull’entrata della Turchia nell’Unione Europea, tant’è che la cambio ogni giorno. E tuttavia il mio approccio scettico si fonda su valutazioni opposte rispetto a quelli che si oppongono. Mi spiego: la maggior parte di chi si oppone alla sua entrata fa valere ragioni culturali: la religione cristiana, l’Islam… Per me il fatto che la Turchia sia un paese musulmano e che abbia specifiche tradizioni laiche è senz’altro un aspetto positivo. Se non altro si smetterebbe di parlare dell’Europa come terra cristiana. Ciò che invece mi preoccupa è il significato che questa mossa assumerebbe agli occhi della Russia.

Al contrario degli esponenti della stampa che menzionavo prima, io sono piuttosto ossessionato dall’equlibrio geopolitico. Credo infatti che oggi la priorità sia consolidare relazioni stabili, amichevoli e sicure con la Russia. E da questo punto di vista non sono certo che far entrare un vecchio pilastro della Nato nell’Unione Europea sia una mossa così buona.

Una soluzione sarebbe che la Turchia chiudesse le sue basi americane! Sarebbe divertente: “Bene, possiamo far entrare la Turchia, ma senza le basi americane!”. A parte gli scherzi, credo che questa sia una preoccupazione fondata, le cose stanno accadendo così velocemente e tutto sembra portare al caos. L’Europa a 25 è già in qualche modo una realtà economica, ed è in ogni caso una buona idea, infatti la sua realizzazione spaventa moltissimo l’America. Il problema è che man mano che l’Europa si allarga e diventa più grande, rischia di diventare anche più amorfa e disorganizzata. Per questo la priorità per me oggi resta la creazione di una politica economica centralizzata. Oggi avere una migliore organizzazione e gestione della zona euro comporta innanzitutto strette ed efficienti relazioni non solo tra Francia e Germania, e Spagna, ma anche con l’Italia, che è comunque il terzo centro industriale. Si dovrebbe passar sopra ai recenti disaccordi sull’Iraq. Tutto questo potrebbe avere un effetto propulsivo sulla domanda.

Il fatto è che il miglior modo per spingere la domanda globale è il riarmo. Io non sarei contrario. Come si dice: “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Posso capire che il riarmo possa apparire un’attività ridicola, assurda -il Giappone è ormai una nazione pacifica, anche la Russia, dopo l’alto prezzo pagato, sembra averne avuto abbastanza. Ma a volte semplicemente non si ha scelta.

Non possiamo tenerci un’America con questo terribile mito militare… E noi?

L’Europa oggi è in grado di produrre i migliori aerei, le migliori macchine, i migliori treni, qualsiasi cosa, perché non anche le migliori armi? Lo so che suona assurdo, ma solo così potremo finalmente rimanere in pace.

Tu all’inizio eri molto critico e scettico sul progetto europeo…

E’ vero. Invece Dopo l’Impero dava l’impressione di essere scritto da un europeista entusiasta. Allora, premesso che le mie idee in proposito sono cambiate, devo anche aggiungere che in realtà non c’è niente di me in quel libro, è il mondo descritto da uno storico. C’è anzi un elemento di rassegnazione: ecco, questo è il mondo in cui viviamo. Che non vuol dire che sia anche il mondo che mi piace. Credo che L’illusione economica, scritto dopo le polemiche seguite al Trattato di Maastricht, sia stato il mio ultimo libro militante, per così dire. Non potevo accettare un aumento della ricchezza e della produttività a scapito di valori fondamentali, come la libertà, il benessere dei lavoratori e lo stesso valore dei giovani che, in contraddizione con una delle leggi fondamentali del mercato, pur essendo merce rara oggi valgono meno.

Certo, già ne L’illusione economica c’era un capitolo sugli Usa in cui ero molto scettico sul loro fantomatico dinamismo, anche a partire dai tassi sull’educazione, ma mentre scrivevo L’illusione economica stavo ancora in qualche modo lottando per la democrazia.

Oggi no?

Forse il mio atteggiamento è affine a quello che si dice avesse adottato Toqueville nei confronti della democrazia. Non so se sia andata proprio così, ma è una storia interessante.

Toqueville era un aristocratico, ma un aristocratico intelligente e brillante, per cui a un certo punto fu costretto ad ammettere che l’avanzamento della democrazia era ormai inarrestabile, e quindi l’unica cosa ragionevole da fare era cercare di mantenere, all’interno della cornice democratica, ciò che c’era di buono della tradizione aristocratica. Ecco, il mio approccio oggi è ammettere che non possiamo fare resistenza all’avanzamento dell’oligarchia; cerchiamo allora di mantenere almeno alcuni dei valori positivi della democrazia del passato.

Da questo punto di vista, se si paragonano gli Usa e l’Europa, potremmo descrivere l’Europa come un sistema oligarchico illuminato, che ha mantenuto molto della tradizione democratica. Mentre gli Stati Uniti sono quasi il caso opposto: una folle plutocrazia che non ha mantenuto pressoché nulla della tradizione democratica.

Non abbiamo parlato del mondo musulmano. Tu imputavi la violenza in atto in queste società a un’importante fase di transizione…

Direi che non è cambiato niente. Si diceva che dopo l’invasione dell’Iraq il mondo sarebbe stato più pericoloso. Che ci sarebbe stato un aumento del terrorismo. Non mi sembra.

A me pare che sia l’Iraq a essere più pericoloso e che quello che lì chiamano terrorismo sia piuttosto, almeno in molti casi, resistenza. Insomma mi sembra non ci sia niente di nuovo. Certo, il terrorismo, quello vero, resta un fenomeno problematico, abbiamo bisogno di monitorare meglio queste dinamiche, anche attraverso polizia e servizi di sicurezza più efficienti. Ma se vogliamo parlare del mondo musulmano, beh, direi che se oggi c’è una vittima sono proprio loro: sono i musulmani oggi a essere invasi, sfruttati, torturati! Insomma, è incredibile come ci sia questa rappresentazione del mondo musulmano come una minaccia, quando è oggi l’unica parte del mondo in cui gli eserciti occupano territori, i civili vengono massacrati…
E l’Asia?

Molte persone mi hanno detto che l’Asia era il “punto cieco” delle mie riflessioni, perché non avevo parlato adeguatamente della Cina. Evidentemente la Cina è un gigante e i cinesi stanno diventando un fattore importante. E tuttavia, ai miei occhi, resta ancora una forte asimmetria. Ho già parlato del fatto che il centro di gravità sta tornando in Eurasia, e però in effetti ho parlato dell’Europa, della Russia, ma non della Cina e del Giappone. Del resto, se guardiamo a ciò che accade nel mondo, alle reazioni alla guerra all’Iraq, per esempio, vediamo che le opposizioni sono venute da Europa e Russia mentre Cina e Giappone sono rimasti defilati. Perché? Io penso che la ragione stia nel fatto che Europa e Russia sono pronte per l’indipendenza, sono pronte a emanciparsi dal sistema egemonico americano, mentre il Giappone e la Cina ancora no. La Cina in particolare dipende ancora troppo dall’esportazione negli Usa. Nel caso del Giappone, c’è invece soprattutto un problema di sicurezza: non hanno armi nucleari e l’Asia non è una regione stabile come l’Europa. Questo produce una sorta di senso di insicurezza che fa sì che la gente continui a pensare che l’America sia indispensabile.

In Asia, quindi, gli Stati Uniti hanno effettivamente ancora un ruolo riconosciuto. Questa è anche la ragione per cui le banche centrali di Giappone e Cina continuano a salvare il dollaro americano, che diversamente sarebbe già al collasso. Ma il giorno in cui il Giappone avrà la bomba, e la Cina avrà ultimato il suo sviluppo…

EMMANUEL TODD

tratto da UNA CITTÀ n. 126 / Febbraio 2005