sabato 18 febbraio 2006

Don Farinella scrive a Sua Santità...

La lettera seguente pouò essere sottoscritta anche collegandosi a http://www.arcoiris.tv/appello/benedettoXVI/


Care Amiche e Amici,

dopo lunga e matura riflessione, confortata dal consiglio di molti amici, invio in allegato e di seguito una lettera aperta al papa Benedetto XVI con preghiera che non riceva Berlusconi in udienza a ridosso delle prossime elezioni politiche del 9-10 aprile. Sono a conoscenza di movimenti sotterranei perché la visita abbia il più grande impatto mediatico.

Nessuno è tenuto a condividere la lettera, il suo tono, i suoi contenuti. L'ho fatta leggere ad alcuni amici i quali hanno suggerito alcuni aggiustamenti formali e qualche correzione di stile e contenuto. L'ho fatto. Quella che propongo è la lettera definitiva.

La pubblici in rete, chiedendo di divulgarla più che sia possibile per lasciare libertà di scelta:

1) Chi condivide la lettera può cliccare su COMMENTS e, nello spazio bianco del riquadro che si apre, apporre la propria firma nel seguente ordine: Cognome, Nome, professione, Città.

2) Chi non la condivide, può ugualmente divulgarla, lasciando ai suoi amici la libertà di firmare o non firmare.

3) La lettera aperta non è inviata solo ai cattolici o ai cristiani, ma a tutte le donne e gli uomini che hanno a cuore la vita della Nazione oggi a rischio di sopravvivenza civile se dovesse andare in porto la riforma costituzionale aberrante che il governo ha promosso per pagare il pedaggio ai suoi servi-alleati. La lettera è aperta per dare modo a chiunque di poterla firmare ed esercitare un diritto di democrazia diretta e senza mediazioni. E' possibile che molti non siano d'accordo sulla lettera o su alcuni aspetti di essa. A questi rispondo che io l'ho scritta così, se qualcun altro vuole e può fare meglio, lo faccia. Una cosa non è più lecita moralmente: essere indifferenti e rassegnati.

4) Sono grato agli Avvocati del foro genovese che hanno racconto oltre 30.000 firme per abrogare la costituzione, ma qui abbiamo il dovere etico, razionale ed evangelico di abrogare un governo che è stato ed è la vergogna del diritto e della giustizia sociale.

5) Alla chiusura della raccolta delle firme, che speriamo siano una valanga, invieremo una e-mail o spediremo in cartaceo (vedremo) con tutte le firme in Vaticano.

6) Questa lettera è stata immessa anche in http://minimalessandro.blogspot.com/2006/02/lettera-aperta-al-papa-benedetto-xvi.html il blog di Alessandro Loppi.

Vogliamo ed è un nostro diritto che il Papa resti fuori dal ring parossistico e beffardo di questa campagna elettorale già deformata in modo inverecondo da un presidente del consiglio che tutto è tranne che un moderato. Nessuna strumentalizzazione deve essere tollerata da parte del Papa che è e deve restare "cattolico" cioè universale e non un accessorio di una parte che non è la migliore del Paese.

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A Sua Santità Benedetto XVI
Città del Vaticano

Apprendiamo che a ridosso delle elezioni politiche italiane del 9 e 10 aprile 2006, Lei riceverà in visita ufficiale il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, nell’ambito di una visita del Partito Popolare Europeo (PPE). Molti dicono che questo incontro sia stato pensato e programmato dallo stesso interessato che vuole questa visita come una sorta di «consacratio ad limina», a ridosso delle imminenti elezioni politiche e dopo mesi di estenuante campagna elettorale mediatica senza esclusioni di colpi.

L’ospite che giunge in Vaticano, dopo essersi paragonato a Napoleone, il 12 febbraio 2006 ad Ancona in un infinito comizio ai suoi sostenitori ha superato il segno della normalità psicologica e della decenza morale, afferman-do testualmente: «Io, il Gesù della politica, una vittima paziente, mi sacrifico per tutti». Nelle precedenti politiche del 1993 ebbe a presentarsi come il «Messia», inviando i suoi sostenitori come «missionari e apostoli». Mai uomo politico intelligente o sprovveduto era mai arrivato a tanto.

Nulla da eccepire se l’udienza capitasse in tempi normali o non sospetti. In queste circostanze e condizioni, la visita è programmata da parte italiana con fini strumentali: essa serve al capo del governo per potersi accreditare come «consono» alla Chiesa cattolica a differenza del suo rivale, Romano Prodi, che da cattolico serio e «adulto» non usa la religione come strumento populista di infima propaganda. Egli, infatti, si è incontrato con il card. Vicario, Camillo Ruini, nel più assoluto riserbo.

Se Lei dovesse ricevere Berlusconi in udienza, di fatto, anche senza volerlo, si schiererebbe con una parte e il gesto più eloquente di ogni parola contraddirebbe quanto Lei afferma nella sua prima enciclica: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile» (28/a).

Con questa visita, anche contro la Sua volontà, il Papa rischia di accreditare un uomo che ha diviso la nazione invece di unirla, come richiedeva la sua funzione. Il presidente del consiglio italiano si definisce cattolico, ma non esita a distruggere lo stato sociale, impoverendo ancora di più i poveri e favorendo i ricchi. Al contrario, egli ha triplicato il suo patrimonio facendosi approvare leggi su misura contro ogni legittimità giuridica.

Interi settori della popolazione che fino a ieri vivevano una vita dignitosa, oggi vengono nelle parrocchie a chiedere aiuto per arrivare alla fine del mese. Questo stato di cose incide e condiziona non solo la qualità, ma anche l’esistenza stessa della famiglia che Berlusconi ben conosce, giacché, da «buon cattolico» usufruendo del divorzio, ha fatto una duplice esperienza familiare. Ci risulta, a proposito, che da alcuni giornali specializzati in «gossip» si è fatto fotografare mentre fa la Comunione, contravvenendo così ad una chiara norma della Chiesa sull’accesso dei divorziati ai sacramenti e lasciando nello sconcerto la massa di cattolici, spesso divorziati senza colpa, che sono indotti a pensare che il Sig. Berlusconi abbia avuto uno sconto dalla Chiesa in quanto ricco e potente.

Il presidente del consiglio dei ministri dovrebbe essere un modello per l’intera nazione e invece assistiamo ad una sistematica denigrazione della giustizia e delle istituzioni pur di salvarsi dai processi per accuse gravissime come la corruzione di giudici, divulgando tra la popolazione non solo il senso dell’illegalità, ma anche la convinzione che le leggi siano lacci per i polli che i furbi sanno evitare. Anche il Papa si sarà chiesto come mai un uomo prudente e saggio come il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, si sia rifiutato di firmare in prima istanza, a norma della Costituzione, tutte le leggi qualificanti l’azione di questo governo, dichiarate «palesemente incostituzionali».

La vittoria delle elezioni si giocherà sul filo del rasoio perché il capo del governo ha voluto e ha fatto approvare una legge elettorale su sua misura. In subordine, in caso di sconfitta, che gli istituti demoscopici non escludono, egli vuole rendere l’Italia ingovernabile, in base al principio del «muoia Sansone con tutti i Filistei» (Gdc 16,30).

Da vero statista. Al Papa non può sfuggire il particolare che il Sig. Berlusconi sia proprietario di tre reti tv e disponga delle altre tre pubbliche, avendo così dalla sua l’intera flotta mediatica, supportata da giornali di proprietà o compiacenti e asserviti mediante il meccanismo perverso della distribuzione delle quote pubblicitarie.

In un momento così grave e delicato per l’Italia, molti cattolici chiedono al Papa di non prestarsi anche involontariamente a questo gioco che a molti appare demagogico, populista e dissacratore, perché appare basato sul principio machiavelliano, immorale per l’etica cattolica, che il fine giustifichi i mezzi. Chiediamo al Papa che «almeno» per opportunità politica non riceva il capo di una fazione politica, nel momento in cui la legge italiana impone una reale par condicio che il capo del governo ha eluso e aggirato a piene mani e anche ostentatamente. In subordine chiediamo che riceva insieme i due capi dei poli opposti e faccia loro una autentica lezione di comportamento etico anche in campagna elettorale, senza dimenticare di ricordare i principi fondamentali della «Dottrina sociale della Chiesa» che ha come fulcro il «bene comune» dell’intera Nazione.

Desideriamo informare il Papa che molti, moltissimi fedeli sono impressionati per il silenzio della gerarchia cattolica italiana di fronte ad eventi e scelte governative che gridano vendetta al cospetto di Dio, giacché ritengono e pensano che essere cristiani sia incompatibile con il modello di governo che questi cinque anni ci hanno riservato. Una «contradditio in terminis». Molti di noi non sanno spiegarsi i motivi per cui partiti che dicono d’ispirarsi ai principi cristiani abbiano potuto essere alleati succubi di questo esorbitante e folcloristico potere che ha tenuto in scacco tutte le Istituzioni, a cominciare dalla Suprema Carta costituzionale di cui è stato fatto scempio pur di saziare gli appetiti delle singole fazioni che compongono la maggioranza attuale.

I partiti che fanno riferimento ai principi etici del cattolicesimo hanno firmato una legge sull’immigrazione che nega i principi fondamentali della fede cristiana, per sua natura universale e quindi aperta, con le necessarie regole, all’accoglienza di disperati e affamati; i quali bussano alla porta dell’occidente opulento che pure legge ogni domenica Mt 25, 31-46, là dove il Signore si identifica con gli affamati, gli assetati, i carcerati, i forestieri. L’ospite che arriva in Vaticano ha appena approvato e fatta varare dal parlamento una legge immorale che concede a tutti i cittadini la licenza di uccidere e di essere uccisi in nome di una malintesa sicurezza la cui custodia è affidata alle pistole di una pericolosa giustizia «fai da te».

Al Papa chiediamo che non presti il fianco a dividere ancora di più i cattolici che già sono frammentati in partiti e porzioni di partiti. Infine, chiediamo che il Papa preghi per tutti gli Italiani perché possano scegliere con scienza e coscienza, lasciandosi guidare non da interessi particolari, ma unicamente dal bene comune della loro Nazione, all’interno del quale si realizza e si compie anche il bene personale.

Lei stesso nella sua prima enciclica Deus Caritas est citando Sant’Agostino ha scritto: «Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giu-stizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: «Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?» (De Civitate Dei, IV,4). Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l’autonomia delle realtà temporali (Gaudium et Spes, 36)».

Dio non voglia che il Papa permetta questa commistione diabolica e preservi la Sede di Pietro da ogni calcolo di interesse e da basse strategie di strumentalizzazione partitica e faziosa. E’ una questione etica. E’ un imperativo di decenza.

Con cordialità.

Paolo Farinella, prete - Genova (17 febbraio 2006)

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giovedì 16 febbraio 2006

LETTERA SULLE ELEZIONI DI UN ANONIMO CRISTIANO

Caro Tommaso,

siccome sei nato appena il 19 agosto, hai ricevuto una lettera dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con un grosso bacio e 1000 euro. Il bacio è gratis, ma i mille euro servono per avere il voto dei tuoi genitori, che vuol dire 500 euro a voto, e con le casse dello Stato si può fare, data anche la scarsa natalità. Anche questo è un contratto, tanto è vero che la tua babysitter, che l’anno scorso ha avuto un bambino, ha ricevuto anche lei la lettera di Berlusconi, ma non i mille euro, perché è somala e non può votare, e anche Tremonti dice che bisogna evitare le spese improduttive. Nel suo caso, ci sarebbe stato un arricchimento senza causa.

Poiché i tuoi genitori sono persone oneste, non hanno ritirato i mille euro, e votano come gli pare. Anzi hanno messo in cornice la lettera di Berlusconi, come si fa con i cimeli storici.

Tu hai avuto la grazia di venire alla luce in un mondo che non è mai stato così attraente. Le sue bellezze si sono moltiplicate, le ricchezze pure, gli abitanti sono più numerosi che mai e tutti, a volerlo, potrebbero essere in grado di vivere e di godere la Terra; i re e i principi dei secoli passati stavano molto peggio di te quanto a cibo, acqua, caldo, freddo, salute, mobilità, conoscenze disponibili e aspettative di vita. Se non mancasse l’amore, per cui agli uni è tolto ciò che agli altri è dato, davvero questo sarebbe un mondo meraviglioso.

Un gioco d’azzardo. Però tu sei nato anche alla vigilia di un grande gioco d’azzardo. In questo Paese stiamo per andare a una roulette, in cui in una sola giocata è messa in palio tutta la posta: la giustizia, i diritti, il lavoro, la pace, il dialogo tra le civiltà e la Costituzione repubblicana che il governo e la maggioranza parlamentare hanno fatto a pezzi già quattro volte (in altrettanti voti delle Camere) e infine liquidato per togliere il potere ai cittadini e allo stesso Parlamento. Infatti il sistema politico si è venuto a congegnare in modo tale che un normale ricorso alle urne per eleggere i rappresentanti, si è trasformato in un aut-aut, nel quale tutto si può perdere e tutto si può salvare. In questa consultazione elettorale ci possono essere, perché così ha voluto la recente riforma, solo due programmi e due schieramenti in grado di competere per il premio di 340 deputati assegnati per legge al vincitore. “Tertium non datur”, come dicevano i latini. Tutta la società è costretta a dividersi in due, nonostante la varietà di bisogni, di interessi e di ideali da cui la mediazione politica e parlamentare dovrebbe estrarre il “bene comune”.

L’intenzione che da più di un decennio ha spinto il sistema elettorale e politico verso un così rigido bipolarismo era buona, perché si trattava di realizzare un regime di alternanza, come c’è in altre democrazie, soprattutto anglosassoni. Però non si è tenuto conto della natura della destra italiana, che quando non è trattenuta in un più vasto tessuto di relazioni democratiche e si presenta allo stato puro, si fa eversiva, come ha fatto nel tempo producendo fascismo, P2, tentativi golpisti e pulsioni secessioniste. L’esperienza di questi anni ha mostrato che la forzatura dell’elettorato a concentrarsi e a contrapporsi in due sole parti politiche, ha fomentato una cultura del conflitto e del nemico, ha imbarbarito la lotta e ha portato al rischio di consegnare il Paese a una fazione di guastatori.

L’Italia ha avuto altri momenti in cui con la destra si è giocato d’azzardo; uno di questi fu nel 1925, quando per la prima volta fu instaurato per legge (e non per rivoluzione) un “governo del Primo Ministro”. Ai bambini che nacquero quell’anno non andò poi bene; ne conosco che a 18 anni finirono in guerra o furono presi dai Tedeschi.
Dunque non ci si può distrarre, e bisogna prendere il proprio posto in una delle due parti in conflitto.

Berlusconi. Le ragioni per porre termine drasticamente all’esperimento Berlusconi vanno molto al di là delle inadempienze programmatiche e del dissesto dei conti e delle istituzioni. Berlusconi aveva stipulato un contratto, di modello privatistico, con il quale aveva acquistato un voto e aveva venduto un sogno, quello di un Paese beato e di un arricchimento generalizzato. I sogni sono preziosi. Un esponente della sinistra cristiana, Adriano Ossicini, psicologo dell’infanzia, raccontava un giorno di un bambino che aveva in cura, il quale gli aveva portato un sogno, perché glielo custodisse e non andasse perduto. Berlusconi ha tradito il sogno che aveva venduto e ora, con la sua parossistica campagna politica, sta trasformando questo sogno in un incubo. Egli non ama l’Italia, perché dell’Italia non ama la magistratura, la Confindustria, le cooperative, l’80 per cento dei giornalisti, i comuni e le regioni “rosse” e tutta la sinistra, che considera una “palla al piede” del Paese. Di conseguenza preferirebbe che tutti questi non ci fossero, come Calderoli preferirebbe che non ci fossero gli immigrati, e i coloni in Cisgiordania che non ci fossero i palestinesi. Tuttavia li vuole governare, il che vuol dire che vuole governare chi non ama, senza averne il consenso e che perciò li può governare solo assoggettandoli e riducendoli a sudditi.

In una trasmissione televisiva un consigliere di Berlusconi, politologo, don Gianni Baget Bozzo, ha detto che ciò che è in corso in questa campagna elettorale sarebbe un “regicidio”, alludendo agli attacchi al premier e alla rapida caduta del suo gradimento. Meno tragicamente avrebbe potuto parlare di “deposizione del re”. In ogni caso senza avvedersene Baget Bozzo, che è un buon conoscitore di dottrine politiche, usando questa parola definiva il regime politico che Berlusconi ha di fatto introdotto in Italia come un regime monarchico: cioè il potere di un uomo solo, senza controlli, senza alleati (infatti vorrebbe avere da solo il 51 per cento, più il premio di maggioranza) e senza competitori; tale potere sarebbe legittimato, come dice, dal fatto che “nessun altro italiano ha fatto tanto per l’Italia” come lui.

Questa monarchia di fatto, viene trasformata dalla nuova Costituzione elaborata a Lorenzago, in una monarchia di diritto. Il premierato assoluto che vi è configurato, l’emarginazione del Senato, la Camera dei Deputati spartita in due sezioni, una Camera alta (formata dai deputati di maggioranza che hanno “prerogative” negate a tutti gli altri) e una Camera bassa (formata dai deputati dell’opposizione che hanno solo il diritto di parola e i cui voti sulla fiducia al governo non verrebbero nemmeno contati), il Presidente della Repubblica esautorato, il “Primo Ministro” che può sciogliere la Camera quando vuole: tutto questo farebbe della Costituzione repubblicana uno Statuto monarchico, anche se senza successione ereditaria, il che rappresenta l’esplicita sconfessione dell’art. 139 della Costituzione vigente, che poneva un limite insuperabile al sovvertimento costituzionale, prescrivendo che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.

Dunque deporre Berlusconi e poi respingere nel referendum la Costituzione scritta dalla destra sono due atti della stessa operazione: salvare la Repubblica in Italia. Per i cittadini sembra questo un interesse, oltre che un valore, assolutamente prioritario. Come diceva un grande costituente, Giuseppe Dossetti, la Costituzione italiana era stata generata da una grande tragedia storica, conclusasi con la sconfitta del nazismo e del fascismo. Si può aggiungere che essa, come tutto il costituzionalismo internazionale postbellico, nacque perché la tragedia non avesse a ripetersi, ciò che oggi non è affatto sicuro.

Nessun capro espiatorio. Nell’agone per il ripristino e per il rilancio dell’ordine democratico non deve figurare alcun accanimento nei confronti di chi l’ha violato. In effetti è tutta una classe dirigente, solidale nel potere oltre ogni dissenso, e non una persona sola, che va giudicata. Ci si dovrebbe anzi preoccupare che l’eccessiva esposizione mediatica di Berlusconi non finisca per ricapitolare su di lui tutto il bene e tutto il male, il che è un meccanismo ben noto nella fabbricazione del capro espiatorio, come del resto già si intravede nel comportamento dei suoi alleati, col rischio di far perdere di vista i gravissimi danni da questo ceto politico provocati. Al di là della provocatoria iperbole di Gianni Baget Bozzo, quanti amano la convivenza civile non possono che opporsi all’ostensione di figure che attirino su di sé ogni encomio ed ogni oltraggio. Berlusconi si è messo in gravi difficoltà, fin quasi a voler procacciarsi il dileggio, ma non per questo devono venire meno il rispetto e la cura dovuti ad ogni creatura. Piuttosto deve essere aiutato a uscire – e l’elettorato può farlo – da una situazione divenuta insostenibile, dato che per lui, con tutte quelle televisioni e quelle aziende, la politica si è rivelata incompatibile con le sue ricchezze, per quel conflitto sempre denunciato che altro non è se non l’avverarsi dell’antico monito secondo cui “nessuno può servire a due padroni”.

Dove stanno i cristiani. Molti si chiedono dove stanno i cristiani in questo confronto. Poiché la domanda fa riferimento a una categoria religiosa e non politica, è evidente che la risposta non è affatto scontata: possono trovarsi da ogni parte. A volerli localizzare seguendo la pista indicata dal Vangelo, bisognerebbe sapere dove hanno il loro tesoro: “dov’è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore” (Mat. 6,21). Allora si dovrebbe sapere qual è il tesoro di ciascuno, e così si saprebbe dov’è il suo cuore e anche il suo voto. E tuttavia nessuno ne potrebbe giudicare le intenzioni, perché si potrebbe sbagliare.

Dunque, per sapere dove stanno i cristiani, bisogna ricorrere a criteri più empirici. E qui sta la difficoltà. Perché, a guardare ai due schieramenti, si ha l’impressione di una situazione asimmetrica. Infatti in uno dei due, quello di centro-destra, ci sono molti che si professano “devoti”, atei o credenti che siano, c’è un partito che si fa chiamare cristiano, c’è chi rivendica a proprio favore l’autorità della Chiesa e gode di frequentazioni ecclesiastiche, e in tanti fanno a gara per accreditarsi come pronti a tradurre in leggi le indicazioni della CEI.

Nell’altro schieramento, che Berlusconi sommariamente definisce la “sinistra”, tutto questo non c’è, i cristiani come tali non si fanno riconoscere per nome; essi partecipano senza ostentazioni alla condizione comune, mentre per contro vi sono piccoli gruppi e partiti che per il meccanismo elettorale non potrebbero correre da soli, i quali si rifanno a un acceso militantismo laico, o accelerano su temi immaturi, pur sottoponendosi al vincolo di coalizione. Ciò potrebbe far pensare che in tale schieramento i cristiani non ci siano o non siano interessati a far valere con energia i valori in cui credono. Ma così non è. Vaste aree elettorali e ceti politici che si rifanno alle tradizioni del cattolicesimo democratico e del cattolicesimo sociale sono presenti nel centro-sinistra, sia nei partiti che si definiscono moderati, sia nei Verdi, sia tra i socialisti, sia nelle sinistre che in diversi modi si rifanno alla tradizione comunista, che del resto ha praticato a lungo in Italia il dialogo con i cattolici. La Democrazia Cristiana non c’è non perché sia stata dissolta da “Mani Pulite” ma perché, fallito il tentativo di Buttiglione di impadronirsene, interpretò con rigore la fine dell’unità politica dei cattolici sancita dal Concilio, e volle affermare una discontinuità anche nel nome. Dunque i cristiani ci sono, parte costituente e costitutiva della democrazia italiana, ci sono i cristiani nel centro-sinistra, come sempre ci sono stati nella sinistra.

Che cosa si sceglie. La scelta di schieramento è anche una scelta per Prodi. Si tratta di un investimento su una competenza, su una integrità politica, su un programma, non della fede in un uomo, che non è cosa cristiana. È però l’affidamento a una persona che per storia e identità ha tutti i titoli per governare l’Italia nei prossimi cinque anni. La scelta di Prodi, del resto già esercitata nelle primarie, né ha l’intenzione di accaparrarselo, né ha nulla a che fare con il “culto della personalità”, estraneo alla prassi democratica; però gli dà atto di aver preso le difese della Costituzione repubblicana, ferma restando la quale ci possono poi essere idee diverse sulla futura evoluzione del sistema politico.

La presenza di cristiani nella sinistra e nell’Unione in questa campagna elettorale non ha alcun carattere confessionale, e non ha alcuna pretesa di coinvolgere le autorità della Chiesa, che si vorrebbe anzi salvaguardare dal trovarsi coinvolte in questo scontro. Tale presenza è però fortemente motivata dalla percezione che tra il 9 aprile e il successivo referendum per il mantenimento della Costituzione si decide il destino dell’Italia e il suo ruolo nel mondo, e sono in gioco valori supremi anche per la Chiesa, a cominciare dalla democrazia. Questo aspetto è tenuto in ombra anche dal centro-sinistra, restio ad ammettere il rischio di sistema; sicché nella campagna elettorale ufficiale c’è molto furore polemico, ma non affiora il dramma. Invece, come dice un allarmato Leopoldo Elia, presidente emerito della Corte Costituzionale, nell’introduzione al suo libro “La Costituzione aggredita”, “ha torto chi, pur da cattedre istituzionali autorevoli, invita a non drammatizzare”.

Così stando le cose, la natura del voto non consente di fare scelte determinate su singoli problemi, TAV o PACS che siano. I temi specifici che le autorità religiose hanno agitato più di recente, riguardanti la traduzione legislativa di specifiche istanze etiche, non sono oggetto immediato della attuale contesa elettorale, che propone invece una scelta globale e seccamente alternativa sui fondamenti stessi della convivenza civile e perciò anche religiosa. Essi saranno oggetto con calma di una seria mediazione politica, in cui posizioni diverse potranno incontrarsi, essendoci sempre una soluzione cristiana, nella laicità, che gli uomini di buona volontà possono trovare anche sulle questioni più spinose e controverse.

Da che cosa vi riconosceranno. Certo, sia su questi temi specifici che nelle scelte di sistema, i cristiani hanno qualcosa da dire, e proprio come tali, per l’utilità comune. È un peccato, ad esempio, che non ci sia nessuno che dica che la Costituzione ci preme proprio in quanto cristiani, non solo per le ragioni validissime a tutti comuni, ma anche per ragioni più proprie: per esempio per aver posto al fondamento della Repubblica il lavoro, che Gesù ha assunto quando ha preso “la forma del servo”, e quindi ha assunto il lavoro, che era allora l’operazione estenuante ed esclusiva del servo; o per aver stabilito nella coscienza, come ha asserito una famosa sentenza della Corte Costituzionale, la fonte dei diritti fondamentali, e perciò della stessa Repubblica, facendo quindi della coscienza di ogni cittadino il vero luogo dove i desideri di Dio e i diritti posti dall’uomo si incontrano; o per quella centralità del Parlamento che affida l’esercizio della sovranità del popolo non all’azione, alla lotta, al potere, ma alla Parola, e perciò non ammette altro modello di comunicazione pubblica tra gli uomini che il dialogo e quindi la pace; ciò che fa della Costituzione la radice dell’etica civile.

Sarebbe bello queste cose poterle dire anche proprio come cristiani; in ogni caso, se non come cristiani, essi dovrebbero farsi riconoscere come “Galilei”, cioè per l’amore, così come nella sua felice enciclica Benedetto XVI dice che Giuliano l’Apostata lo riconosceva e voleva emularlo nei cristiani, da lui chiamati “Galilei”, pur mentre voleva ristabilire i culti pagani. E dall’enciclica si potrebbe ricavare un altro criterio di identificazione per loro: quello di attribuire allo Stato e alla politica, come unica “origine, scopo e misura” il fare la giustizia, senza la quale uno Stato si riduce a “un grande ladrocinio”; di intendere la giustizia come il garantire a ciascuno la sua parte dei beni della terra; di sapere che nella “nuova situazione” prodotta dall’avvento dell’industria moderna, “il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva”; e che se, come è avvenuto, “le strutture di produzione e il capitale” si sono affermati come “il nuovo potere posto nelle mani di pochi”, comportando “per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi”, compito della società nostra, interna e internazionale, è di offrire alla ribellione l’alternativa della politica, della Costituzione e del diritto. Questo sarebbe allora il modo e il luogo in cui i cristiani potrebbero essere riconosciuti.

Riunioni e lettere. Non firmo questa lettera: prima di tutto perché, nell’alleanza cui andrà il mio voto, anch’io, come cristiano, sono anonimo; e in secondo luogo e soprattutto perché questa lettera da chiunque, se condivisa, può essere fatta propria e mandata ad altri, con la propria firma o sotto la propria responsabilità, e da questi ad altri ancora, in una circolazione dal basso, e così passare di sito in sito, di e-mail in e-mail, di rivista in rivista, e magari suscitare riunioni, incontri e dibattiti per discutere queste cose, per far crescere l’informazione e la coscienza collettiva intorno alle grandi questioni in gioco, in tutta la campagna elettorale, e fino al referendum costituzionale. Sarebbe bello, così, che questa lettera anonima fosse la più firmata di tutte, a fare da scintilla che accende tutta la prateria.

Con i più fervidi auguri

Anonimo cristiano

lunedì 6 febbraio 2006

Encicliche copyright

Per pubblicarla dovremmo tagliarla.
Per non tagliarla dovremmo pagarla.
Per tagliarla dovremmo misurarla.
Per misurarla dovremmo giudicarla.

Una fatica che lasciamo ad altri. Le lettere si iniziano, si svolgono e si concludono. E la lettera del successore di Pietro più di altre.

Vi immaginate le prime comunità cristiane che si vedevano arrivare le lettere degli Apostoli o a pezzi e bocconi o intere solo per pochi, quelli in grado di versare sonanti sesterzi? Ve lo immaginate Paolo che predicava le virtù partendo dalla fede e si interrompeva prima di arrivare alla Carità in attesa di altra moneta per continuare?

Le encicliche vanno diffuse integrali, per completezza di informazione, ma soprattutto senza dovere misurare le parole. E invece le parole volano via dalla costrizione a merce. Gli scritti del papa scuotono e riscuotono i primi frutti del decreto vaticano sul copyright.

Lo scorso 24 gennaio è stato reso noto il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle comunicazioni. Parlando della degenerazione dei mezzi di comunicazione, il papa scrive: “Queste degenerazioni si verificano quando l'industria dei media diventa fine a se stessa, rivolta unicamente al guadagno, perdendo di vista il senso di responsabilità nel servizio al bene comune”.

Proprio mentre papa Ratzinger diffondeva queste parole, le case editrici Baldini & Castoldi e Piemme hanno ricevuto dalla Libreria Editrice Vaticana - che, in base alle nuove norme vaticane, detiene in esclusiva i diritti d'autore sugli scritti del papa (v. Adista n. 5/06) - due ingiunzioni di pagamento per diverse migliaia di euro per aver pubblicato, senza aver prima stipulato un contratto con la Lev, qualche decina di righe di documenti e omelie di papa Wojtyla e di Benedetto XVI.

A Baldini & Castoldi è stato chiesto il 15% del prezzo di copertina - di cui 15mila euro come anticipo, oltre a 3.500 euro di spese legali - per ogni copia venduta del Dizionario di papa Ratiinger (pp. 130, euro 9,90), una guida al pontificato di Benedetto XVI curata dal vaticanista della “Stampa” Marco Tosatti che, in particolare per la redazione delle voci “abbandonati”, “barca”, “frutto” e “misericordia”, ha utilizzato meno di 50 righe dell'omelia Pro eligendo pontifice (pronunciata in apertura di Conclave dall'ancora card. Joseph Ratzinger) e dell'omelia della prima celebrazione eucaristica presieduta da papa Benedetto XVI. Nella lettera inviata all'editore dall'avvocato Carmine Stingone per conto della Lev si propone, “per puro spirito conciliativo”, di chiudere la questione con una semplice scrittura privata.

Pare però che Baldini & Castoldi non abbia intenzione di pagare, anche perché il libro è uscito qualche giorno prima dell'emanazione del decreto del card. Angelo Sodano (datato 31 maggio 2005) che affida alla Libreria Editrice Vaticana i diritti d'autore del papa. Pagherà invece fino all'ultimo centesimo la casa editrice Piemme che a luglio 2005 ha dato alle stampe un libro del vaticanista del “Giornale”, Andrea Tornielli, I miracoli di Papa Wojtyla (pp. 136, euro 12,90). Per la pubblicazione, in appendice, del cosiddetto “testamento spirituale” di Giovanni Paolo II (che occupa uno spazio di 9 pagine) - peraltro distribuito a suo tempo a tutti i giornalisti direttamente dalla Sala Stampa vaticana, senza alcuna indicazione di copyright -, la Lev ha chiesto 5mila euro.


33199. ROMA-ADISTA