domenica 9 ottobre 2005

Vescovi e Fede

Intervista a don Franco Barbero

Mi sembra che la gerarchia cattolica stia entrando in campo in maniera sempre più diretta e pesante, proprio in Italia in modo particolare. Come vede questo interventismo?

Taluni sottolineano giustamente i toni da crociata di Ruini, Ratzinger, Sodano e altri gerarchi. Forse occorre portare la nostra attenzione sulla vastità dell’operazione: dalla scuola alla sanità, dalla cultura ai diritti civili, dalla legge sugli oratori fino alla statalizzazione degli insegnanti di religione, dalla difesa di Fazio fino all’alleanza con gli “atei devoti” non c’è ambito della politica che non registri una diretta iniziativa della Conferenza episcopale italiana. Essa, per giunta, trova spazi enormi nelle televisioni e pronto ascolto nel governo.

Lei, don Barbero, alcuni mesi fa parlava di una chiesa che ormai è prevalentemente una organizzazione politica, solidamente alleata con le culture e i progetti dei governi più reazionari. Conferma?

E chi non lo vede? Non si tratta semplicemente di un’onda conservatrice. Qui ci troviamo a fare i conti con una svolta reazionaria. La Conferenza dei vescovi è governata da un monarca che prende ordini direttamente dal papa. E’ la centralizzazione assoluta che vede i vescovi obbedienti come agnellini e li riduce a semplici comparse, a caporali di giornata.

E, secondo lei, ci sono figure emergenti che formano il “coro vaticano” di cui Ruini e Ratzinger si fidano ciecamente?

Tra tutti si distinguono per assoluta fedeltà ai dicktat vaticani tre vescovi: Fisichella, Caffarra, Bruno Forte. Faranno una carriera folgorante.

Come vede la partita sul terreno politico?

E’ evidente che i movimenti, i partiti e le forze sociali attive si trovano di fronte ad un compito prioritario. Programmare l’uscita dal pantano e progettare una politica “laica” liberandosi di Berlusconi e gettando alle spalle la soggezione al potere ecclesiastico. Certo le difficoltà sono reali anche per la presenza di monsignor Rutelli, un autentico cardinale vaticano imprestato (volevo dire infiltrato) alla politica. Una presenza ingombrante che non conosce che cos’è la laicità dello Stato.

Ma siamo proprio destinati in Italia a vivere nella soggezione al potere religioso cattolico?

E’ la mancanza di lungimiranza e di intelligenza di troppi nostri politici. La Spagna era un paese dove i legami tra Stato e Chiesa cattolica erano fortissimi. Il governo Zapatero ha messo in campo una cultura laica che, coerentemente tradotta in politica, oggi ha ottenuto anche l’appoggio di una parte del mondo cattolico.

Ci sono altre cose che Lei ritiene più gravi in questo periodo all’interno della chiesa?

Mi sto domandando come mai i tanti e celebri preti impegnati nel sociale, tanto legati al pacifismo e al terzomondismo, su questi temi siano così silenziosi. E’ per scontata e non mi turba la “canzone” di Ratzinger e Ruini. Mi turba, invece, il silenzio di chi, su questi temi così impegnativi, che riguardano milioni di persone, non nutre la stessa passione e non sente lo stesso bisogno di parlare chiaro. Per me “lottare contro l’impero” è un impegno che parte dal luogo in cui mi trovo e poi s’allarga all’Africa, all’India, al Centroamerica. Altrimenti debbo continuare a constatare che può diventare più comodo occuparsi del “disagio” dei poveri lontani che degli emarginati e scomunicati vicini. Fuori casa si diventa degli eroi. Mi sembra che prima di tutto bisogna giocare la partita in casa propria, prendendo posizioni che siano leggibili, comprensibili, chiare. Questa è la mia opinione. Non servono i dissensi di corridoio o di sacrestia. Occorre uscire allo scoperto per una cultura e una politica veramente laiche.

E allora?

Allora nutro tanta fiducia nell’azione di chi lotta per dare gambe ai diritti, per sostenerli e “legittimarli”, sia con il dibattito nella società civile, sia con il lavoro parlamentare. E poi tanta fiducia nel lavoro quotidiano contro il pregiudizio, l’intolleranza, la manipolazione delle coscienze. Ogni piccola voce può arricchire il dialogo. Vedo con gioioso stupore che il nostro sito www.viottoli.it è frequentatissimo: non avrei mai creduto che esistessero tante migliaia di persone che hanno il desiderio di cercare, di confrontarsi, di non allinearsi al potere... Questa è speranza vissuta nell’oggi. Se ci mettiamo tutto il nostro cuore e se affidiamo tutto alle mani di Dio, anche una piccola voce serve alla causa della liberazione.

Sul piano della fede, come legge l’attuale panorama?

Contro tanti scoraggiamenti e tante “lamentazioni” io continuo a pensare che l’attuale dirigenza vaticana, proprio per la sua estraneità ad ogni pratica di libertà, offre l’opportunità di creare nuovi spazi di fede fuori, assolutamente fuori, dall’obbedienza “canonica”. Voglio chiarire: non fuori dalla chiesa, ma fuori dal recinto imprigionante gestito dalla gerarchia. Chi vuole stare in questa chiesa “asilo infantile”, caserma, istituzione per chi ha bisogno di obbedire per stare bene, faccia pure. Ma oggi è finalmente possibile leggere la Bibbia, celebrare i sacramenti, sentirsi chiesa senza svendere la libertà interiore, senza allinearsi ai voleri vaticani. E’ davvero fondamentale questa svolta nella nostra concezione dell’esperienza cristiana. Non è l’ora di andarsene: è l’ora di restare, di gettare semi, di alimentare il dibattito, con tanta gioia, tanta fiducia in Dio, negli uomini e nelle donne. Studiando, pregando, sorridendo.

lunedì 3 ottobre 2005

quattro ottobre duemilacinque

Se il tempo è il pulviscolo sperimentabile dell'eternità, i 780 anni che ci separano dalla morte di Francesco d'Assisi non sono un segmento apprezzabile della storia umana.

Gli schiamazzi dei garibaldini e l'oratoria metallica dei rivoluzionari dell'89 sono ancora udibili dietro l'angolo della storia europea.

Poco più in là, è percepibile il plumbeo respiro del contadino dell'Ancien régime e persino il nitrito dei cavalli dei capitani di ventura. Ma è sufficiente raccordare la mano all'orecchio per distinguere, tra le urla religiose dei crociati, il Cantico delle creature del povero cristiano Francesco.

Se è vero che l'umanità ha bisogno di una storia monumentale, perché - come afferma Nietzsche - ciò che un giorno fu capace di dilatare la nozione di uomo e di realizzarla con maggior bellezza, deve esistere in eterno, allora Francesco d'Assisi appartiene alla piccola famiglia di quei giganti che si chiamano l'un l'altro a dialogo, attraverso le desolate distanze delle ère.

Egli, tuttavia, non resta incorruttibile come un satiro di fronte alle civiltà che passano; ma pur camminando scalzo ripropone agli uomini fratelli un discorso sulla totalità dell'essere, senza mai proclamare l'innocenza del divenire.

Francesco, infatti, non divinizza ogni cosa esistente, ma si sforza di portare ogni essere esistente - e primo fra tutti, l'uomo - alla sua perfezione divina.

La storia, perciò, non ha bisogno di lottare contro il tempo per richiamarlo in vita o per schierarlo di nuovo in battaglia. Chi parla dell'essere e lo attesta non ha neanche bisogno, per nobilitare se stesso, di operare per la comunità; né ha bisogno di intermediario alcuno per diventare illustre e memorabile.

Chi parla dell'essere e lo attesta risulta vivo e presente in sé e per sé, né mai conosce la mestizia del tramonto. (a.b.)