lunedì 26 luglio 2010

IL PROCESSO DI DECOSTITUZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA POLITICO ITALIANO

1. La crisi della democrazia costituzionale

È in atto un processo di decostituzionalizzazione del sistema politico italiano. Questo processo si manifesta in una progressiva deformazione dell’assetto costituzionale diretta a introdurre una forma di democrazia plebiscitaria basata sull’onnipotenza della maggioranza e sulla neutralizzazione di quel sistema di limiti, vincoli e controlli che forma la sostanza della democrazia costituzionale.
L’idea elementare che è alla base di questo processo è che il consenso popolare è la sola fonte di legittimazione del potere politico e varrebbe perciò a legittimare ogni abuso e a delegittimare critiche, limiti e controlli. Il processo di decostituzionalizzazione si manifesta in una lunga serie di violazioni della lettera o dello spirito della prima parte della Costituzione: le tantissime leggi ad personam, che formano ormai un vero Corpus iuris ad personam finalizzato a sottrarre il presidente del Consiglio ai tanti processi penali dai quali è assediato; le leggi razziste contro gli immigrati, che hanno penalizzato lo status di clandestino; le misure demagogiche in tema di sicurezza, che hanno militarizzato il territorio, legittimato le ronde, previsto la schedatura dei senza tetto; il controllo politico e padronale dei media, soprattutto televisivi, che ha fatto precipitare l’Italia al 73.mo posto della di Freedom House sui livelli della libertà di stampa, in attesa di un ulteriore precipizio se verrà approvata la legge sulle intercettazioni che non solo limita le possibilità di indagine della magistratura ma introduce una sostanziale censura sull’informazione che ci costringerà, come nei regimi totalitari, ad apprendere dalla stampa estera le notizie sul nostro Paese. E ancora: i tagli alla spesa pubblica nella scuola e nella sanità; la crescita della precarizzazione del lavoro e della disoccupazione; l’aggressione al sindacato e alle garanzie giurisdizionali dei diritti dei lavoratori; il progetto di installare centrali nucleari contro cui si espresse 20 anni fa il referendum popolare.
Di solito questo indebolimento della dimensione costituzionale della nostra democrazia viene interpretato, sia a destra che a sinistra, come un prezzo pagato a un rafforzamento, e al conseguente primato della sua dimensione politica, del potere conferito agli elettori di scegliere volta a volta la coalizione di governo: in altre parole, come una riduzione e una svalutazione della legittimazione legale, a favore di una valorizzazione della legittimazione popolare della rappresentanza politica, ottenuta dalla possibilità dell’alter-nanza resa possibile dal sistema bipolare e dall’aperta rivendicazione dell’onnipotenza della maggioranza.

2. La crisi della democrazia politica
La tesi che qui sosterrò è opposta a questa rappresentazione. Dietro la pretesa valorizzazione della rappresentanza politica si nasconde una deformazione profonda delle istituzioni rappresentative, responsabile non solo della crisi della dimensione legale e costituzionale della democrazia, ma anche della tendenziale dissoluzione della sua dimensione politica e rappresentativa. Stiamo assistendo in Italia alla costruzione di un regime personale e illiberale di tipo nuovo, senza precedenti né confronti nella storia, che è il frutto di molteplici fattori di svuotamento della rappresentanza politica.

2.1. Il populismo e l’idea del capo
Il primo fattore è la verticalizzazione e personalizzazione della rappresentanza. Il fenomeno è presente in molte altre democrazie, nelle quali la rappresentanza si è venuta sempre più identificando nella persona del capo dello Stato o del governo e sono stati indeboliti ed esautorati i parlamenti. Ma in Italia, il fenomeno ha assunto forme e dimensioni che compromettono alla radice la rappresentanza politica. Per una lunga serie di fattori.
Il primo fattore è la connotazione apertamente populista assunta dal nostro sistema politico. La democrazia politica - secondo l’immagine offertane dall’attuale maggioranza e divenuta senso comune - consisterebbe, ben più che nella rappresentanza della pluralità degli interessi sociali e nella loro mediazione parlamentare, nella scelta elettorale di una maggioranza e soprattutto del capo della maggioranza, concepito come espressione organica della volontà popolare, dalla quale proverrebbe una legittimazione assoluta. Di qui l’insofferenza per le regole e per il pluralismo istituzionale: per l’indipen-denza della magistratura e perfino per il ruolo del parlamento, la cui rappresentatività è stata del resto svuotata dall’at-tuale legge elettorale che ha alterato l’oggetto stesso della rappresentanza: i parlamentari, essendo di fatto nominati dai vertici dei partiti, rappresentano oggi, più che gli elettori, coloro che li hanno nominati e dai quali dipendono.
Ebbene, questa idea dell’onnipotenza del capo quale incarnazione della volontà popolare è al tempo stesso antirappresentativa e anticostituzionale. È innanzitutto anti-rappresentativa, dato che nessuna maggioranza e tanto meno il capo della maggioranza può rappresentare la volontà del popolo intero e neppure quella della maggioranza degli elettori. (...).
Ma quell’idea è anche radicalmente anti-costituzionale, dato che ignora i limiti e i vincoli imposti dalle costituzioni ai poteri della maggioranza riproducendo, in termini parademocratici, una tentazione antica e pericolosa, che è all'ori-gine di tutte le demagogie populiste e autoritarie: l'opzione per il governo degli uomini, o peggio di un uomo - il capo della maggioranza - contrapposto al governo delle leggi e la conseguente insofferenza per la legalità avvertita come illegittimo intralcio all’azione di governo. Fu proprio questa concezione che fu rinnegata dalla Costituzione del ‘48 all’indomani della sconfitta del fascismo, che dopo aver conquistato il potere con mezzi legali, distrusse la democrazia edificando un regime totalitario proprio sull’idea del capo come espressione diretta della volontà popolare. (...).

2.2. I conflitti di interesse ai vertici dello Stato
Il secondo fattore di crisi della rappresentanza politica è la progressiva confusione e concentrazione dei poteri. Mi riferisco - ancor più che alla lesione, che pure è costantemente tentata, del principio della separazione tra i pubblici poteri, e in particolare dell’indipendenza del potere giudiziario - al progressivo venir meno di una separazione ancor più importante, che fa parte del costituzionalismo profondo dello Stato moderno: la separazione tra sfera pubblica e sfera privata, ossia tra poteri politici e poteri economici.
Il tramite di questa confusione di poteri è costituito dal conflitto di interesse, che in Italia ha assunto le forme, senza confronti e senza precedenti, della concentrazione nelle stesse mani dei poteri di governo, di un enorme sistema di interessi e di poteri economici e finanziari, nonché dei poteri mediatici assicurati dal quasi monopolio dell'informazione televisiva. Al punto che non può neppure parlarsi, propriamente, di conflitto di interessi, bensì di un aperto primato degli interessi privati del presidente del consiglio sugli interessi pubblici e di una subordinazione dei secondi ai primi (...).
Per questo possiamo parlare, a proposito dell’anomalia italiana, di una singolare regressione premoderna allo stato patrimoniale contrassegnato da connotati populisti (...), che si manifesta in una sorta di privatizzazione o di appropriazione privata della sfera pubblica. Si tratta di un fenomeno nuovo nella storia delle istituzioni politiche, non paragonabile alla vecchia degenerazione della sfera pubblica, quando la politica era corrotta, comprata e subordinata agli interessi economici privati e tuttavia da questi pur sempre distinta e separata. Allora, all’epoca di “Tangentopoli”, fu svelato un rapporto corrotto ed occulto tra politica ed economia. Ma il rapporto tra sfera pubblica e sfera privata, per quanto corrotto, rimaneva pur sempre un rapporto di distinzione e di separazione. Oggi, dalle collusioni occulte fra interessi pubblici e interessi privati su cui si era retto il vecchio sistema della corruzione si è passati alla loro confusione esplicita e istituzionalizzata, in forza della quale alla vecchia corruzione, peraltro non venuta meno a causa della voracità del nuovo ceto politico, si è sostituita la diretta gestione politica dei propri personali interessi: sia che si tratti dell’abolizione delle imposte sulle successioni e sulle donazioni, o dell’approvazione a ripetizione di leggi ad personam in materia di giustizia, o della censura del dissenso e dell’informazione, o della difesa e del rafforzamento del monopolio televisivo. (...).
     
2.3. La spoliticizzazione e la corruzione del senso civico
C’è poi un secondo aspetto, per così dire dal basso, della crisi della democrazia politica: lo sviluppo del qualunquismo che si manifesta da un lato nell’omologazione dei consenzienti, dall’altro nella denigrazione dei dissenzienti. La denigrazione dei dissenzienti si manifesta in una pluralità di divisioni e di rotture della solidarietà sociale all’insegna dell’op-posizione amico/nemico, bene/male, amore/odio. Dove il nemico ha sembianze sociali o politiche o culturali: gli immigrati, i delinquenti di strada, i comunisti, l’opposizione, la libera stampa, gli intellettuali, il sindacato, la magistratura. In tutti i casi è un nemico che mente e complotta, per il quale vengono riesumate vecchi categorie della propaganda fascista: sono disfattiste, anti-nazionali e anti-italiane le critiche della stampa e dell’opposizione; sono eversivi i processi e le indagini giudiziarie. In particolare, sono complotti - gestiti dai comunisti - i processi penali oppure le rivelazioni scandalistiche sulla vita privata del capo.
L’omologazione dei consenzienti, d’altro canto, avviene per il tramite della spoliticizzazione di larghi settori dell’elet-torato, che si manifesta, oltre che nell’astensionismo o nel qualunquismo, nel declino del senso civico e nell’indebo-limento dell’opinione pubblica. Che cosa è infatti l’opinione pubblica? È l’opinione che si forma sulle “questioni pubbliche”, cioè di pubblico interesse perché riguardanti gli interessi di tutti; e che perciò viene meno allorquando si dissolve in una somma di opinioni vertenti tutte sui molteplici e diversi interessi personali. (...).
Ebbene, la distruzione dell’opinione pubblica avviene con la disinformazione e con la menzogna. Ma avviene soprattutto allorquando viene promosso il disinteresse e l’indifferenza per gli interessi pubblici: quando dall’oriz-zonte politico del cittadino svanisce l’idea stessa di “interesse generale” e la sua attenzione politica viene rivolta soltanto ai suoi interessi personali e privati, assunti come criteri esclusivi della sua valutazione politica, a cominciare da quella che si manifesta nell’esercizio del diritto di voto.  È chiaro che questa indifferenza dei cittadini per gli interessi generali e questo loro isolamento nei loro interessi privati formano il miglior terreno di coltura della passivizzazione politica e, con essa, del populismo e della delega a un capo. C’è una pagina assai nota di Tocqueville, di straordinaria attualità, che illustra questo nesso tra depressione dello spirito pubblico e dispotismo: “Il dispotismo”, scrisse Tocqueville, “vede nell'isolamento degli uomini la garanzia più certa della propria durata, e in generale mette ogni cura nel tenerli se-parati... Innalza barriere tra loro e li divide”, “fa dell'indif-ferenza una specie di virtù pubblica”, li trasforma in una “folla innumerevole di uomini” ciascuno dei quali “vive per conto suo ed è come estraneo al destino di tutti gli altri: i figli e gli amici costituiscono per lui tutta la razza umana; quanto al resto dei concittadini, egli vive al loro fianco ma non li vede; li tocca ma non li sente; non esiste che in se stesso e per se stesso, e se ancora possiede una famiglia, si può dire per lo meno che non ha più patria”. E aggiunge: il potere dispotico “è contento che i cittadini si svaghino, purché non pensino che a svagarsi”.

3. I rimedi alla crisi: quattro indicazioni
Ebbene, di fronte a questo processo di decostituzionalizzazione, noi pensiamo che la sinistra debba opporre una rigida difesa dell’assetto costituzionale della nostra democrazia; che debba liberarsi dall’egemonia culturale della destra, nella consapevolezza che oggi l’attacco è non tanto e non solo alla Costituzione italiana del ’48, ma al costituzionalismo quale sistema di limiti e vincoli a tutti i poteri; e che è soprattutto il valore del costituzionalismo che venti anni di tentativi di riforma regressiva della nostra Costituzione hanno logorato e messo in crisi nel senso comune. In questa prospettiva ci sembra che possano formularsi quattro indicazioni, che richiedono tutte un mutamento della politica costituzionale della sinistra.

3.1. Abbandonare ogni progetto di riforma complessiva
La prima indicazione è che le forze di opposizione dovrebbero abbandonare, almeno in questa legislatura, ogni progetto di riforma costituzionale complessiva. Con questa destra, dovrebbe ormai essere chiaro, le uniche riforme possibili sono quelle dirette a trasformare il nostro sistema in senso autocratico e padronale. Ne sono prova i due progetti di riforma costituzionale proposti dalla destra – la loro carta di identità costituzionale, per così dire – diretti inequivocabilmente a trasformare in costituzione formale la decostituzionalizzazione di fatto prodottasi della nostra democrazia: la riforma varata nella legislatura 2001-2006 e bocciata dal referendum e la bozza di revisione in 37 articoli dell’intera carta costituzionale, consegnata al presidente Napolitano dall’on. Calderoli all’indomani delle elezioni regionali.
(...) Certamente, grazie alle divisioni della destra, questo progetto sarà accantonato. Dobbiamo però prendere atto del suo carattere sovversivo e della mancanza di senso del limite di questa destra; la cui impudenza è ormai arrivata al punto che dalle leggi ad personam si vorrebbe passare alla costituzione ad personam, la cui unica, trasparente finalità è chiaramente quella di fare dell’attuale presidente del consiglio un autocrate incontrastato e incontrollato.

3.2. Solo revisioni specifiche 
La seconda indicazione, che suggerisce anche un forte argomento da opporre alle proposte della destra, è che la nostra Costituzione non consente la sua integrale riscrittura, ma solo singoli emendamenti. (...). L’art.138 che ne disciplina l’esercizio non consente perciò che con legge di revisione possa scriversi una costituzione interamente nuova e diversa. Consente solo revisioni specifiche di questa o quella norma costituzionale consistenti in emendamenti di contenuto omogeneo: se non altro perché il referendum cui la revisione può essere sottoposta non deve riguardare, come la Corte costituzionale ha più volte ribadito, istituti eterogenei in ordine ai quali l’elettore può avere opinioni in parte favorevoli e in parte sfavorevoli. (...).
Del resto le costituzioni serie non si modificano ad ogni cambio di stagione. Pensiamo a come sarebbe accolto negli Stati Uniti un progetto di riforma complessiva della Costituzione del 1786. Naturalmente questo non vuol dire che la Costituzione del ‘48 non sia, in tempi migliori, modificabile. Il costituzionalismo può ben essere sviluppato, come dimostrano le costituzioni di terza generazione dell’America Latina. 
(...) Ma pensiamo, soprattutto, alla prospettiva sempre più urgente di un costituzionalismo globale, che introduca idonee garanzie a quell’embrione di Costituzione del mondo che già oggi è costituito dalla Carta dell’Onu, dalla Dichiarazione universale dei diritti del ’48, dai Patti del 1966 e dalle tante carte sovranazionali dei diritti di carattere regionale: un costituzionalismo globale in grado di mettere al bando le guerre e di colmare quel vuoto di diritto pubblico, responsabile oggi, nell’attuale crisi delle sovranità statali, di una globalizzazione selvaggia e senza regole che sta provocando la crescita delle disuguaglianze, la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani ogni anno, le tante catastrofi ambientali e il pericolo per la sopravvivenza stessa dell’umanità sul nostro pianeta.

3.3. Una sola urgente riforma
Frattanto, ed è questa la nostra terza indicazione, c’è una sola, urgente riforma che le forze di opposizione dovrebbero promuovere, quella dell’art. 138 Cost. in tema di revisione della Costituzione medesima: la previsione, per ogni revisione, di una maggioranza qualificata di almeno due terzi dei componenti del Parlamento; l’esclusione da qualunque revisione, ma solo la possibilità di espansione e rafforzamento, dei diritti fondamentali e dei principi supremi, come l’ugua-glianza, la dignità della persona, la pace e la separazione dei poteri; infine l’esplicita limitazione, oggi solo implicita, del potere di revisione, cui non dovrebbero essere consentiti tentativi di riforma dell'intera costituzione, ma solo l’approvazione di emendamenti di questa o quella singola e determinata norma costituzionale.

3.4. Il metodo elettorale proporzionale
Infine, e vengo alla questione più dolente, la legge elettorale. L’esperienza di questi anni dovrebbe averci insegnato che, a tutela dell’uguaglianza nel diritto di voto e contro le derive populiste, la sola garanzia è il metodo elettorale proporzionale e il sistema parlamentare. Solo la democrazia parlamentare basata sul metodo proporzionale, favorendo lo sviluppo dei partiti e per il loro tramite la rappresentanza di interessi sociali e di opzioni politiche diverse e talora in conflitto, è infatti idonea a garantire il pluralismo politico e la rappresentanza dell’intero elettorato e ad impedire involuzioni monocratiche generate invece, come nei sistemi maggioritari, dalla personalizzazione della rappresentanza. (...).
Sarebbe perciò necessario, a questo punto, un sereno bilancio degli effetti perversi del bipolarismo. Il sistema bipolare è una sorta di stampo calato sulla società, che artificialmente ne nega il pluralismo politico, mortifica i dissensi, offusca le differenze degli interessi rappresentati, semplifica la complessità sociale costringendo gli elettori a schierarsi con una delle parti in conflitto e trasformando le elezioni in una partita nella quale si vince anche solo per un punto. Un’esigua minoranza di elettori incerti, prevalentemente spoliticizzati e più degli altri esposti al condizionamento della propaganda, decide infatti l’esito delle elezioni con un alto grado di casualità. È così che questo sistema ha distrutto i partiti, ha allargato il fossato tra ceto politico e società, ha ridotto le competizioni elettorali a guerre di spot tra coalizioni che si contendono il centro e quindi devono essere tanto più rissose quanto più devono tendere ad omologarsi. (...). Ma soprattutto il sistema bipolare, favorendo la personalizzazione della rappresentanza e il culto del capo, ha cambiato il senso comune sulla democrazia, fornendo il principale sostegno alla sua involuzione in senso populista e autoritario.
Oggi la scelta bipolare continua ad essere difesa, in Italia, dalla maggioranza delle forze politiche, incluse, incredibilmente, le forze della sinistra che ne hanno subito i danni maggiori. Dobbiamo invece riflettere sui guasti da essa prodotti. (...).
Concludo con un’ultima osservazione. Certamente, fino ad oggi la democrazia costituzionale e la Costituzione italiana hanno resistito, grazie all’effettività della separazione dei poteri: dell’indipendenza della magistratura ordinaria e della giurisdizione costituzionale. Ma non possiamo essere certi che questa resistenza, di carattere solo istituzionale, non sarà travolta, se proseguirà la corruzione del senso comune in materia di democrazia. Esiste infatti un’interazione tra involuzione istituzionale e senso comune: l’opinione pubblica può ben essere trasformata e corrotta dalla demagogia politica sviluppata dal sistema politico-mediatico e retroagire in suo favore sotto forma di consenso di massa. Per questo ciò che oggi soprattutto si richiede è lo sviluppo, a sinistra, di una cultura costituzionale opposta e alternativa a quella della destra e, insieme, un forte impegno di pedagogia civile, diretto a rifondare nel senso comune i valori del costituzionalismo democratico: del pluralismo politico e istituzionale, dei principi di uguaglianza e dignità delle persone, del ruolo di difesa degli interessi generali spettante alla politica e, soprattutto, di una concezione della democrazia come sistema fragile e complesso di separazioni ed equilibri tra poteri, di limiti di forma e di sostanza al loro esercizio, di garanzie dei diritti fondamentali, di tecniche di controllo e riparazione contro le loro violazioni.

Luigi Ferrajoli

31.07.2010



Fonte: http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=47589

5 commenti:

Anonimo ha detto...

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Blogging and reviews

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