venerdì 8 aprile 2005

IL GIORNO DEL FUNERALE

Si sono svolti oggi i funerali di Aarawang, un bambino aborigeno di 8 anni che nessuno conosceva. Aarawang si è improvvisamente ammalato, qualche settimana fa, ed è poi morto nel sonno, senza soffrire. Non c'è stato nessun annuncio ai villaggi vicini, e nessuno è venuto a vedere la salma del bimbo prima che fosse inumata.

Il corteo funebre, composto dalla madre di Aarawang, dalla sorellina di tre anni, e dall'anziano zio cieco, ha attraversato senza fare rumore il breve spazio fra il villaggio e la collina antistante, sulla quale il corpo del bambino è stato sepolto.

Nessuno ha pronunciato una sola parola nel suo nome, nessuno ha voluto ricordare le sue azioni, nessuno ha cercato di esprimere pubblicamente il dolore che si leggeva sui volti dei presenti.

La madre ha deposto una collana di pietre grezze sulla tomba, lo zio vi ha versato sopra alcune gocce d'acqua, e poi i tre si sono riavviati in silenzio verso il loro villaggio.

Sulla via del ritorno la bimba si è messa a giocare con un cagnolino che le era venuto incontro scodinzolando. Il vento tiepido della sera si è portato via gli ultimi raggi di luce del rosso deserto australiano.

Più tardi, in un luogo senza oggetti e senza suoni, l'anima leggera del bambino ha incontrato quella altrettanto leggera di un uomo molto anziano, che era stato sepolto proprio nelle stesse ore, in un posto lontanissimo nel mondo.

Le due anime si sono guardate, si sono sorrise, e si sono allontanate insieme nella stessa direzione. Non c'era fra loro nessuna differenza. Ed erano assolutamente identiche a tante altre anime che le attendevano, in mezzo alle quali si sono confuse per sempre.

M.M. da luogocomune.net

martedì 5 aprile 2005

breve commento su G.P. II

Giovanni Paolo II credeva nella assoluta autonomia del fattore religioso rispetto ai sistemi politici. Perché - diceva - solo la religione è salvezza. "Ma di quale salvezza intendeva parlare" mi fu chiesto da un amico ateo. Fui costretto a rispondere "Di quella lassù", e poi a precisare "Ecco come il Cristianesimo si è abbassato al rango di religione, lasciando la storia senza salvezza".

Restava la grande domanda: che cosa vuol dire, per il Cristianesimo, diventare una religione? Spieghiamoci con una immagine. Il Cristianesimo è, originariamente, una novità esistenziale e dice all'uomo-lupo "Tu devi diventare una pecora!" Questo è il senso della parola metànoia, o conversione, che circola nelle prime pagine dei Vangeli. Dopo di che, quando i lupi sono diventati "pecore" (creature nuove), nella storia sono rese possibili alcune novità:
1) una convivenza pacifica
2) la produzione di latte e formaggio per togliere la fame dal mondo
3) la produzione della lana per coprire gli ignudi

La religione, invece, non chiede al lupo (all'uomo-lupo) di diventare pecora, ma gli chiede soltanto di farsi il segno della croce e di recitare alcune preghiere prima e dopo aver divorato le pecore. Questa è la "religione" stigmatizzata da Lucrezio Caro ( † 55 a.C.) "causa di tutti i mali del mondo", perché coinvolge la divinità nelle violenze della storia. Agamennone, infatti, per suggerimento dell'oracolo, sacrifica la figlia Ifigenia per conquistare Troia.

Qualcuno insiste "Ma Giovanni Paolo II non ha aperto il dialogo con i fratelli cristiani e con i fratelli religiosi di tutte le religioni?" D'accordo, ma il problema è di vedere se quello è, o no, il primo sforzo utile per tirar fuori il Cristianesimo dalla palude della "religione". Ancora: il problema è di sapere se Giovanni Paolo II ha evidenziato ai cristiani la soluzione evangelica dei nostri drammi esistenziali o se ha gridato soltanto parole di umanesimo orizzontale. Il dire, per esempio, "No alla guerra" è esprimere un sentimento "umano" circoscritto, se non si dice "no" a ciò che conduce alla guerra (per es. allo Stato Nazionale Sovrano, tra l'altro non previsto dal Vangelo). Giovanni Paolo II ha detto, con forza, di spalancare le porte a Cristo, ma è ciò sufficiente per superare l'orizzonte del religioso, se non si dice espressamente che bisogna spalancare le porte al Messaggio di Cristo?"

Solo l'attuazione del Messaggio di Cristo, da parte dei cristiani, potrà diventare quella luce di cui hanno bisogno tutti gli uomini - religiosi e non - per glorificare il Padre nei Cieli.

(Padre Aldo)

sabato 2 aprile 2005

Karol ritorna al Padre

Carol Woytila è spirato. Ottantaquattrenne, già pieno di acciacchi - ma soprattutto stanco dentro - in realtà è andato morendo già negli ultimi quattro anni, a partire dalla notte in cui inaugurò un nuovo millennio che fino a poco tempo prima non aveva nemmeno osato sperare di vedere. Quella era forse stata l'ultima scadenza terrena che si era prefisso di raggiungere: ci teneva tantissimo ad andare a Gerusalemme per quella data, per unirsi al capo dei rabbini, a quello degli ortodossi e a quello dei musulmani, e ce la fece. Il resto è stata una lenta decelerazione di una carriera importantissima, i cui veri effetti si sentiranno solo nel tempo. Il segno che Woytila ha lasciato nella storia della Chiesa cattolica, sia positivo che negativo, ...

... è stato tutto marcato nel periodo fra il 1989, storica data della caduta del muro, e il duemila appunto, anno carico di un simbolismo che va assumendo proporzioni sempre maggiori man mano che il tempo passa. Anche se le Torri sono cadute nel tardo 2001, fu con l'elezione persa da Al Gore e vinta da George Bush, l'anno prima, che il mondo cambiò decisamente rotta. Gli attentati dell'11 Settembre ce lo avrebbero soltanto comunicato a voce alta.

Impossibile riassumere in poche righe il percorso storico del papa polacco. Più facile forse indicare un paio di momenti significativi, anche perchè il criterio qui diventa personale. Talmente personale che, se mi fosse posta la domanda, io indicherei come passaggio fondamentale del suo papato non il contributo innegabile che diede alla caduta del Muro, non la resistenza all'ammodernamento della Chiesa che ha contrassegnato mille sue decisioni, non gli enormi passi fatti per promuovere un'interfede effettiva a livello mondiale, ma una frase, una semplice frase, che espresse qualche anno fa senza che i più se ne accorgessero: "l'inferno è freddo".

Dice Woytila (dalla catechesi "L'inferno come rifiuto definitivo di Dio"): "Ricorrendo ad immagini, il Nuovo Testamento presenta il luogo destinato agli operatori di iniquità come una fornace ardente [ma] le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l'inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L'inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio. L'inferno è gelo, perchè è solitudine interiore, è assenza del Divino in noi prima ancora che intorno a noi."

Non c'è bisogno di essere credenti per riconoscere la portata storica di questo concetto rivoluzionario, che con tre parole ribaltava secoli e secoli di bieca teologia bacchettona, con tutto quel che ne era stato fatto conseguire.

Per la prima volta un papa ha staccato, teologicamente parlando, il giudizio divino dalla figura esteriore, iconografica, del "vecchio padre barbuto sul monte", e lo ha portato dentro l'Uomo. Per la prima volta nella teologia cristiana è l'Uomo causa ed artefice del proprio male come delle sue conseguenze, che il Divino - a questo punto molto meno indispensabile - si limiterebbe a controfirmare con più o meno dispiacere. Woytila forse è stato il portatore di un nuovo Umanesimo spirituale, o forse, paradossalmente, di una spiritualità secolare, fatta finalmente a misura d'uomo.

Ma tutto questo se n'è andato col secolo scorso, e se tornerà attuale lo farà soltanto fra molti anni da oggi, poichè prima l'uomo moderno dovrà riuscire a scrostarsi di dosso i molteplici strati di errori madornali che è riuscito ad accumulare in questo brevissimo arco di millennio appena iniziato.

A riprova che Woytila rimane un papa "del secolo scorso" vi sono state mille occasioni, in questi ultimi quattro anni, in cui ha cercato inutilmente di far sentire la sua voce a livello mondiale. L'episodio forse più sintomatico avvenne durante il suo viaggio di ritorno dal Centroamerica, nell'estate del 2001, quando si fermò in Texas ad incontrare il neo-eletto George W. Bush, e gli chiese pubblicamente di risparmiare la vita ad un condannato a morte che sarebbe stato ucciso pochi giorni dopo. La richiesta era tanto ampia e simbolica, quanto piccola e brusca fu la risposta di Bush: "Non dipende da me. Il Governatore di questo stato non sono più io". Ma in quelle parole, in quello schiaffo pubblico, così significativo già allora, si può oggi leggere anche un intero Occidente preso in ostaggio da una nuova teologia, quella disumana, cieca e rapace del neoconservativismo PNAC, a discapito di una vecchia teologia, contorta oppressiva ed ambigua finchè vuoi, ma ancora umana.

Ecco, forse il Woytila che si spegne lentamente è come il ricordo che tutti abbiamo di un secolo pieno di contraddizioni e di errori da parte di tutti, di vittorie e di sconfitte per tutti. Un secolo che è terminato solo da qualche anno, ma che ci sembra ormai distante mille anni luce, prigionieri come siamo di un tempo che di umano non ha più quasi nulla.

Sperando che l'inferno non sia già questo in cui viviamo.

Massimo Mazzucco (www.luogocomune.net)

venerdì 1 aprile 2005

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