giovedì 25 dicembre 2008

Buon Natale all'asinello


L’asino del presepe guarda il bambino che si è addormentato. Dire che lo adora è forse troppo: un asino non ha dimestichezza con la contemplazione, e non se ne intende tanto di preghiere. Guarda e basta, come può guardare un asino, che pure un sentimento ce l’ha, ma di sicuro fa fatica a tirarlo fuori e a dirlo come si conviene. Guarda, e chissà cosa pensa, chissà cos’ha in testa mentre soffia un po’ di calore sul corpo infreddolito del bambino. Guarda e inciampa nei suoi ragionamenti confusi, che sono forse un po’ simili ai nostri, in questa notte di Natale.

Vorrei dare di più a questo bambino – pensa l’asino – ma tutto quello che ho da offrirgli è soltanto il mio fiato. Non posso cullarlo con le mie zampe secche, non posso carezzarlo con i miei zoccoli duri e sporchi, o caricarlo sulla mia groppa così scomoda e così poco sicura per un neonato. Magari le mie orecchie lunghe e ridicole potrebbero venirgli utili come guanciale, ma sua madre l’ha già deposto con cura nella mangiatoia, e credo che stia bene dov’è, avvolto nelle sue fasce, accanto a me e al bue, col padre raccolto in preghiera poco lontano.

Mi sarei dovuto preparare meglio ad un avvenimento così; ma chi se lo poteva immaginare? A noi asini nessuno dice mai niente. Tiriamo avanti nella vita a forza di urla, e raramente i nostri padroni ci chiamano per nome. Magari un nome non ce l’abbiamo neppure. Tutto quello che ascoltiamo sono suoni più che parole, monosillabi gridati con rabbia e di malumore da chi ci comanda, che si alternano ai colpi della frusta. Non abbiamo la grazia e la scioltezza dei cavalli, nostri parenti nobili, e tutto quello che sappiamo fare è portare pesi, ripetere ogni giorno gli stessi gesti, ripercorrere le medesime strade, senza una speranza, senza una prospettiva. Per che cosa, alla fine? Un po’ di biada, un po’ di fieno, qualche zuccherino e una carota se il padrone è di buonumore o se gli sono andati bene gli affari. Vita dura quella degli asini.

Ma forse – pensa l’asino – non è tanto la fatica a farmi sentire triste, non è questa vita da somaro fatta di pesi e di ripetizioni a lasciarmi l’amaro in bocca. In fin dei conti resto soltanto un asino, e non sarei capace di fare molte altre cose. Quello che mi manca è il colpo d’ala. Mi piacerebbe essere come gli angeli, che svolazzano sopra il tetto della stalla. Staccarmi ogni tanto da terra, guardare le cose dall’alto, contemplarle in un’altra prospettiva, cantare con gioia, portare annunci di pace. Mi piacerebbe volare con la loro grazia e la loro bellezza. E non ne sono capace. Se provo a volare scalcio, se penso troppo mi confondo, se cerco di cantare raglio, e tutti si spaventano, o si mettono a ridere. E’ vero, un colpo d’ala è quello che ci vuole. O magari soltanto – se proprio non potrò mai volare – un’ala che mi raccolga e mi custodisca, come fa la chioccia coi pulcini, che regali anche a me, povero somaro, un po’ di tenerezza e protezione, che mi faccia sentire amato. Anche noi asini abbiamo bisogno di affetto, anche se siamo così poco belli da vedere, così lenti a capire, così incapaci di volare.

Eppure – ragiona il somaro – se è vero quel che ho sentito stanotte, se tutte queste luci, i pastori, gli angeli, la stella me la raccontano giusta, se questo bambino, come si dice in giro, è il Figlio di Dio, allora vuol dire che anch’io sto facendo una cosa straordinaria. Questo bambino è per terra, con me, e il più vicino a lui sono proprio io, una povera bestia. E non devo fare nulla per lui, non ha bisogno che inventi qualcosa, che gli canti una ninnananna, che gli porti dei regali. A lui basta il mio fiato, a lui basta che io respiri. E’ il mio soffio, il mio alito a custodirlo, a dargli il calore di cui ha bisogno. Che strano: non è stato proprio Dio a darci la vita col suo soffio? Eppure adesso è il mio respiro a tenere in vita Dio, a far sì che non muoia di freddo. Io questa cosa proprio non la capisco: si vede che sono un asino, e ragionare non è proprio il mio mestiere…

L’asino si confonde nei suoi pensieri, ma ora è davvero felice. Vorrebbe perfino cantare dalla gioia, ma sa che dalla gola uscirebbe un raglio stonato, e ha paura di svegliare il bambino. Riprende semplicemente a guardarlo, e continua con dolcezza a scaldarlo col suo respiro.

buon natale, asinello!