domenica 30 luglio 2006

Indulto

Esigere che la legge sia uguale per tutti è diventato "giustizialismo", esigere una politica estera che rispetti la nostra Costituzione è diventato "radicalismo anacronistico", Travaglio (un discepolo di Montanelli) è diventato un "comunista giacobino", Di Pietro (un cattolico moderato) è "sconnesso dalla realtà".

Ormai in Italia il grosso degli elettori (ossia gli unici soggetti che interessano ai politici) sono dei moderati riformisti di centro, che pendono leggermente a destra o a sinistra ma hanno sostanzialmente le stesse idee - cioè nessuna, o al massimo quelle che gli mette in testa il clero o la TV.

C'è da meravigliarsi sempre meno del fatto che chi, invece, idee e convinzioni ce le ha ancora, o perlomeno ne mantiene qualcuna residua, sia sempre più emarginato.

mercoledì 19 luglio 2006

Cari amici pacifisti

Oggi, cari amici pacifisti, devo narrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilità di quello che decido è mia e intera la tengo. Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non è allegra, almeno in Senato, dove - come è noto - la maggioranza è risicatissima e le imboscate possono sempre succedere. L'opposizione per ora fa un'azione di disturbo regolamentare, un vero e proprio ostruzionismo, che è un diritto, ma non è una politica, se non quella di sfiancarci o trovarci sotto di uno o due senatori. D'altra parte il governo e la maggioranza sembrano voler usare molto il voto di fiducia per compattare senatori e deputati, il che però rende sempre più impacciata e difficile l'azione politica, tutta stretta fra richieste di verifiche, dispute regolamentari ecc. L'impressione di una sede che non ha rapporti con la realtà è sempre più forte. Il 28 giugno siamo state e stati bloccati si può dire l'intera giornata in una serie di impuntature (tutte sull'interpretazione del regolamento) che alcuni seguono con appassionato interesse e molti con atteggiamento di gioco e sfida: insomma una cosa alquanto grottesca. A me viene sempre in mente che se gli uomini avessero dovuto occuparsi non solo di se stessi, ma anche della cura di altri, non avrebbero costruito un mondo, specialmente politico, con regole senza senso.

Un voto di fiducia siamo riusciti a darlo ma il secondo della giornata è stato bloccato dall'opposizione appunto con una sequela di trucchi regolamentari che la maggioranza non sembra altrettanto attrezzata a respingere. Ero molto distratta e incapace di appassionarmi, solo dotata di pazienza, fomentata dall'aria condizionata dell'aula. Ero però molto agitata da quello che era successo il pomeriggio precedente, quando avevo ascoltato la relazione dei capigruppo del Prc di Senato e Camera sulle decisioni e dichiarazioni del governo sull'Afghanistan. Il governo era partito con dichiarazioni, sia del ministro degli Esteri che della Difesa, su posizioni che non si potevano accogliere, cioè di accettazione delle richieste della Nato (che non è nemmeno abilitata a chiedere ciò che chiede), cioè di mandare altre truppe italiane e armamenti, quasi a giustificazione per la decisione di andarcene dall'Iraq. Attraverso una trattativa non semplice perché quasi tutto l'Ulivo è d'accordo con simili posizioni, e dall'opposizione si profila una disponibilità dichiarata da parte dell'Udc di fare da stampella al governo su posizioni belliciste (non senza conti presentati). Una sorta di cinico ripugnante "scambio" Iraq con Afghanistan e un patto tra "moderati" apre alla "Grande coalizione" e allo "scarico" della sinistra radicale come fosse una partita a scacchi o a tombola.

Ciò che discutendo si è ottenuto è: nessun ampliamento di presenze italiane in Afghanistan, né dispiegamento fuori dalle zone in cui sono già stanziate, il mantenimento delle stesse spese per la missione ma con una ripartizione più orientata al civile che al militare, la scrittura di una mozione di indirizzo e l'istituizione di una commissione di monitoraggio, appunto per seguire e tenere sotto controllo tutto. Mi sembra importante che si sia riusciti a mantenere fermo il punto che nell'Unione ciò che è stato convenuto nel programma è impegnativo e ciò che nel programma non è contenuto deve essere trattato con lo stesso metodo del consenso che è servito per il programma. È ciò che è stato fatto sull'Afghanistan ed è anche ciò che mi ha convinta ad approvare l'accordo, pronta a mutare opinione se gli atti del governo non fossero limpidamente ancorati ad esso. Non è semplice ciò che è stato ottenuto ma sembra una prima forma di riduzione del danno e la convalida del metodo decisionale del consenso. Anche l'avvio di una commissione di monitoraggio è una cosa che va capita bene e utilizzata il più possibile.

Dire no all'accordo in questo caso accelera semplicemente lo scivolamento a destra del governo, il profilarsi di una maggioranza che raccoglie Casini e company su posizioni molto filoatlantiche e cosi' via. Il dilemma resta drammatico. La mia decisione resta sempre legata alla possibilità che verifiche insoddisfacenti mi inducano a mutare opinione.

Lidia Menapace, 3-7-06

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La lettera di Lidia Menapace è espressione, in fondo, della stessa logica di Michele Serra, cui dedichiamo la Stella Polare di oggi. È la logica di un certo pacifismo che non sa fare i conti con la politica.

Sembra che non la conoscano, la "politica" , e adesso, anime belle, quando ci arrivano a contatto, non sanno che fare.

Si tratta di decidere se entrare nella logica di questa "politica" ormai ridotta alla gestione dell'esistente, o se guardare al fondo dei problemi. Il fondo è che la guerra afghana, come quella del Kosovo che la precedette, erano completamente illegali, oltre che, ovviamente, anticostituzionali. Ma lo schieramento che oggi ricatta i pacifisti le approvò e le fece. Adesso le difende. Non era scritto nel programma? Non lo era. Invece avrebbe dovuto esserlo. Ma Lidia Menapace, e molti altri, cosa pensavano che sarebbe accaduto?

Adesso sono in ambasce, e cedono. È sempre stato così: cedimenti sono la rinuncia ai princìpi in nome di presunte "necessità" invocate, di regola, da coloro che i princìpi li hanno già abbandonati da tempo.

Giulietto Chiesa