giovedì 27 aprile 2006

Feste patronali: meno fuochi, più compassione

Riceviamo questo APPELLO ai sacerdoti, comitati feste patronali, politici e laici delle città d'Italia

Meno fuochi d'artificio, più compassione

La Casa per la nonviolenza rivolge un appello alle comunità cristiane e città d'Italia ad evolvere le feste patronali dallo spreco alla sobrietà compassionevole. Una innovazione nella tradizione che unisca nel progetto "Città e parrocchie ad energia solare" gli ideali altissimi della giustizia sociale, pace mondiale ed ecologia profonda. Matteo Della Torre (Casa per la nonviolenza, associazione di ispirazione gandhiana.) Fonte: Il grido dei poveri, mensile di riflessione nonviolenta. 15 aprile 2006

A San Ferdinando di Puglia, in provincia di Foggia, 15 mila cittadini festeggiano il santo patrono spendendo più di 60 mila euro (19.866 euro per spettacoli musicali, 14.700 euro per i fuochi d'artificio, 11.700 euro in luminarie, e così via sprecando). Un po’ per pigrizia, un po’ per superstizione, gli ossequenti alla tradizione ogni anno elargiscono i quattrini necessari ad una festa patronale anacronistica ed immobile, trasudante paganesimo festaiolo. Una solenne occasione di controtestimonianza cristiana.


Il tradizionalismo è un bulldozer

Per i prosternati al "si è fatto sempre così" il tradizionalismo conta più del Vangelo. Non importa in che secolo si vive, si ignorano i segni dei tempi con i quali l'homosfera e l'ecosfera lanciano segnali allarmanti di sofferenza e debolezza. Poco importa se a Mandala, un villaggio nei pressi di Calcutta, Sofia, 12 anni, per la disperazione si è impiccata, perché non mangiava da una settimana e la madre non aveva neppure una rupia (l'equivalente di 2 cent. di euro) per comprarle un pò di cibo. Men che meno interessa la sofferenza ecologica del pianeta, gli avvertimenti dei climatologi sul riscaldamento globale da accumulo di gas serra, la frequenza e distruttività degli uragani.

E' trascurabile che nel mondo si allarghi il divario tra gli osceni privilegi dei ricchi, che diventano sempre più ricchi, e le assurde sofferenze dei poveri, ridotti in uno stato di sempre maggiore povertà e degrado.

Se per mantenere queste disuguaglianze si combattono guerre sanguinose contro chiunque si ribelli o metta in pericolo gli interessi economici dei paesi dell'opulenza, né turbamento né vergogna sfiorano il cuore indurito dei cultori del quieto vivere: "anima mia, riposati, mangia, bevi e datti alla gioia" (Lc 12, 19). La tradizione dei fuochi d'artificio, luminarie e baloccamenti vari è un bulldozer che passa sopra tutto.


Fuoco e follia

Immaginate di prendere 600 biglietti da cinquanta euro, ben 30 mila euro (solo la metà dei soldi scialacquati per una festa patronale). Legateli a mazzetto e con un paf di fiammifero consegnateli alle fiamme. Bloccate le conseguenze di questo gesto in un'immagine. Cosa vedreste? Due elementi: fuoco e follia. In pochi secondi una fiammata ha ridotto in cenere l'equivalente monetario di 750 giornate lavorative di un contadino meridionale, 4500 ore di lavoro. Ha vanificato la possibilità di salvare da morte per dissenteria medica con gli integratori salini 250mila bambini, oppure guarire dalla lebbra 230 uomini, finanziare la costruzione di centinaia di cisterne o vasche per la raccolta dell'acqua piovana nei paesi colpiti dalla siccità, o ancora adottare a distanza per un anno 240 bambini poveri. L'elenco potrebbe proseguire a lungo.

Quante opere meravigliose si potrebbero realizzare con 30 mila euro. Tante quante ne suggerisce la generosità di chi ha il compito di gestire una simile somma. Consegnarla al fuoco stronca sul nascere ogni possibilità. L'atto piromane sarebbe considerato unanimemente l'opera di uno psicopatico. Se a compiere il medesimo gesto non è un individuo isolato ma un'intera comunità, il suo contenuto di follia viene ad essere diluito e distorto a tal punto dalla coscienza collettiva assopita da essere giudicato con favore. Perfino plaudito. Non certo dai poveri. Quelli che fame e disperazione rendono anche capaci di uccidere i figli che non possono più nutrire, che mangiano resti di cibo nelle discariche o carogne di cani. Queste vittime della miseria sono derubate ogniqualvolta un uomo o la collettività nelle sue dimensioni micro, meso e macro, va oltre i suoi bisogni fondamentali, appropriandosi arbitrariamente di quanto altri necessitano per vivere. E' l'elementare dinamica alla base di ogni ingiustizia sociale. La miseria disumana non è una fatalità, ma la diretta conseguenza di una lunga catena di egoismi individuali e comunitari. Gli enormi sprechi delle feste patronali sono un lampante esempio di egoismo comunitario, un beffardo pugno nello stomaco ai nostri fratelli poveri.


I sacrifici umani dei devoti

Un filo rosso lega i sacrifici umani delle religiosità primitive, quelli umani ed animali degli indù per compiacere la dea Kalì, il barbaro rito del lancio della capra dal capanile della chiesa durante la festa del santo patrono che, ancor'oggi, sopravvive a Manganeses de la Polvorosa (Castilla Leon), un piccolo paese nel Nord della Spagna, agli enormi "sacrifici" di denaro sperperati per ingraziarsi il santo patrono.

Al contrario di ciò che si può credere, in occidente i sacrifici umani non sono scomparsi. La religione dei devoti li celebra ancora, ma i riti truculenti e il sangue sono stati allontanati il più possibile, nel Terzo mondo! Cosa penserebbe uno dei milioni di bambini, "invisibili" agli occhi dei sazi, che sta morendo di diarrea se sapesse che l'equivalente monetario (donato o negato) di un solo botto potrebbe significare per lui la vita o la morte?

E poi, dopo aver consumato in nome della religione simili tradimenti del messaggio evangelico, col bel coraggio degli ipocriti si addossa la colpa di queste "esecuzioni capitali" al fato avverso, all'indolenza dei poveri, ai musulmani, ai "governi corrotti", a Berlusconi plurimilionario, a Bush guerrafondaio, al callo dolente della zia..., a tutti fuorché ai nostri atti di iniquità individuale e collettiva.

La superstizione pagana è confusa con la vera devozione. Munifici oboli per i fuochi d'artificio assicurano per un anno la protezione del cielo sui propri lucrosi affari, e, perché no, una caparra per il Paradiso.
Ogni religione, muovendo da una sana autocritica, ha il compito di purificare le proprie espressioni spirituali. Tra i numerosi e diversi aspetti negativi del cristianesimo da riformare, superando l'ostinata resistenza dei laici e i silenzi imbarazzanti del clero, c'è il modo di festeggiare i santi.


Le beatitudini "adesso"

E' quanto mai opportuna una educazione dei fedeli alle scelte cristiane coerenti al Vangelo attraverso una nuova catechesi. L'energia dirompente e rivoluzionaria delle beatitudini, il programma di vita dei cristiani, è celata sotto una spessa coltre di polvere, soffocata dal tanfo delle statue dei santi e dall'aria asfittica delle sacrestie.

Per troppi secoli la chiesa ha spiritualizzato il messaggio delle beatitudini, ha rassicurato i ricchi e predicato ai poveri la rassegnazione. Ma i poveri sono stanchi di attendere la conversione dei ricchi. Le scelte collettive di rottura con il passato e di cambiamento vanno fatte "adesso". Le beatitudini vanno rispolverate, rilette, vissute.

...

La festa degli entusiasti è diversa

Organizzare la festa patronale in modo nuovo, originale e pregnante non è un'impresa intentabile, a condizione che si facciano gli sforzi necessari per educare la gente al cambiamento di mentalità.

Occorre recuperare il senso autentico della festa, che è la celebrazione della presenza di Dio in mezzo agli uomini. La festa - scrive Lanza Del Vasto - è "entrare nell'entusiasmo. Entusiasmo significa che Dio è in noi. Dio è in noi ed è visibile". Questo significa fare festa. Con il nostro modo di festeggiare quale immagine di Dio comunichiamo? Quale entusiasmo sprigiona il nostro modo stanco e ripetitivo di festeggiare? E' vera festa? Quale carica di rivoluzione cristiana veicola? Nel nostro paese c'è un'inflazione di feste, ma manca la festa. Sarebbe bello se ci chiedessimo cosa pensa il Principe della Pace del nostro modo di festeggiare. Non sono domande oziose. Sono il nocciolo del problema!

Ci auguriamo che l'appello della nostra minuscola associazione stimoli l'avvio di una discussione seria sugli sprechi della comunità cristiana nelle feste patronali. Il tempo è maturo perché sacerdoti, politici e laici mettano da parte ogni tiepida prudenza o fatalistica inazione e si adoperino perché la gioia festiva dei cristiani sia spezzata in atto di condivisione con chi è oppresso dall'ingiustizia e giunga là dove dilagano povertà e sofferenza.

Per aderire inviare e-mail con nome, cognome, città e provincia a: sarvodaya@libero.it

venerdì 14 aprile 2006

DOVE SOFFIA IL VOTO DEL NORD

Il voto dell’Italia del Nord, l’Italia ricca, è andato massicciamente a Berlusconi, percentuali bulgare in alcune province del Veneto, adesioni forti persino nel Piemonte provinciale, cioè in quanto di più lontano esiste dal berlusconismo caciarone e bugiardo.

L’Italia ricca, l’Italia moderata compatta in difesa dei suoi privilegi, dei suoi soldi. Una sorpresa? Ma no, una scelta che si ripete tutte le volte che sono in gioco gli interessi, i privilegi, i soldi dell’Italia borghese e moderata. Un voto conservatore più provinciale che metropolitano, con aspetti diversi: ora fascista, ora clericale, ora manageriale o finanziario, ma sempre con lo stesso immutabile obiettivo: la difesa dei ricchi, compresi i poveri che si sentono ricchi.

Dico gli italiani poveri che si sentono dei potenziali Berlusconi: se ha fatto i miliardi lui, perché non posso farli anche io? Il voto che negli anni Venti ha preferito il fascismo alla democrazia, il voto che negli anni Quaranta si è rifugiato sotto lo scudo democristiano. Sorpresa?

Sorpresa per chi pensa a un’Italia diversa, a una borghesia diversa, non per chi conosce o dovrebbe conoscere sia l’Italia ricca e la sua classe dirigente, sia l’Italia povera ma desiderante, l’Italia che applaude Mussolini, il fondatore di un impero inesistente o comunque già dentro la sua dissoluzione, l’Italia della «zona grigia» che appena uscita dalla rivelazione della sua pochezza si ricompatta in difesa del suo primato.

Il 25 aprile del ’45 noi partigiani di “Giustizia e Libertà” scendemmo sulla città di Cuneo sicuri che fosse la nostra roccaforte: avevamo organizzato e diretto la guerra di liberazione e con noi c’era quasi al completo la gioventù della provincia. Vennero le elezioni e fummo cancellati dal trionfo democristiano, cioè dal trionfo del moderatismo, cioè dalla difesa dei soldi, di chi li aveva o di chi ragionava come se li avesse. Una sorpresa? Non direi, si tratta di sorprese che si ripetono.

I Bixio, i Medici del Vascello passano regolarmente dal Garibaldi in camicia rossa e dalla sua rivoluzione contadina ai generali di Casa Savoia, il socialista rivoluzionario Mussolini dal rosso al nero con marcia su Roma alla testa dello squadrismo agrario. Misteriose combinazioni di cause e concause su cui gli storici si affanneranno invano per capire, per spiegare, ma alla resa dei conti la storia è sempre la stessa.

È una sorpresa che il Nord ricco sia rimasto fedele a Berlusconi, anche se i borghesi ben perben avevano orrore dei suoi gusti, delle sue gaffe, del suo modo di vivere, di essere? Ma quale sorpresa? Avete letto sui giornali le retribuzioni dei manager e del finanzieri nel quinquennio berlusconiano? Non sono mai state così alte come durante il regime sovversivo e bugiardo delle grandi opere e della grande corruzione.

Non deve essere berlusconiano il voto quel manager Fiat che guadagna in un anno più di un miliardo di Euro, o di quello specialista in gallerie che ha quadruplicato in tre anni berlusconiani il capitale delle sue aziende? Certo, la conosciamo la borghesia dell’Italia ricca, conosciamo gli alto medio e piccolo borghesi civilissimi, colti e lontanissimi, come modo di essere, da Berlusconi, ma nella difesa del soldi come lui tenaci, come lui intransigenti. E conosciamo quelli che si sentono ricchi, che desiderano essere ricchi anche se non lo sono.

A ben guardare il ruolo di Berlusconi non è stato diverso da quello di Mussolini o di Masaniello, il ruolo del sovversivo che smuove le acque, moltiplica l’anarchia, fa un po’ di teatro perché intanto i costruttori di immaginari ponti sugli stretti, di ferrovie ad alta velocità che distruggono quel poco che resta del territorio, di Fiere campionarie senza strade di accesso si divorino quel che resta del mondo.

Melanconie, tristi fissazioni di un utopista fallito? Da una recente indagine sullo stato della Italia ricca, quella che ha votato Berlusconi, risulta che buona parte del territorio è stato cementificato, non produce più alimenti, non consente più lo scolo delle acque e la raccolta del rifiuti, non permette più una vita decente nelle città, sicché avviene l’e sodo all’inverso di chi ci era arrivato dalla campagna... e ora ne fugge.

Questa Italia sempre più ricca e sempre più sovversiva e autolesionista che ha votato Berlusconi e magari già lo rimpiange.


Giorgio Bocca, La Repubblica 13.4.06