giovedì 28 dicembre 2006

L’oscena inutilità della guerra

Ho scoperto, per caso, che esattamente novant’anni fa terminava una delle più atroci battaglie della storia.

I tedeschi si ritirarono dalla piana di Verdun, nella Lorena . nove giorni prima del Natale 1916. Quando se ne andarono, dopo nove mesi di feroci combattimenti, la pianura e le basse colline di quella zona (250 chilometri dalla capitale francese; “la porta di Parigi”, secondo gli strateghi) erano un’ enorme tomba di fango in cui giacevano, massacrati, due interi eserciti. Dal febbraio di quell’anno i cannoni tedeschi e quelli francesi avevano tempestato di colpi, giorno e notte, ininterrottamente, le trincee nemiche. Gli storici annotano: 2 mila cannoni, 21 milioni di proiettili sparati.

Dove oggi vivono 30 mila persone si accalcarono, in quei tempi di dannazione, per morirvi o per sopravvivere, marchiati per sempre dall’orrore, più di un milione di soldati. Fu tra le battaglie più gigantesche della storia: i caduti francesi furono 163 mila, 216 mila i feriti e i mutilati; i tedeschi, rispettivamente 143 mila e 196 mila. Decine di migliaia di feriti non sopravvissero. Sulle rovine di cinque villaggi, completamente cancellati dalle bombe, ogni giorno migliaia di soldati uscivano dalle trincee in cui avevano dormito all’addiaccio sotto una pioggia insistente per andare all’assalto con le baionette inastate. Sventrare almeno un nemico era l’ordine che ricevevano ogni volta dagli ufficiali.

Migliaia di soldati morivano ogni giorno per l’effimera conquista di un rialzo di terreno che meritava appena il nome di collina. La civiltà, la vita “normale”, la possibilità di sorridere, di innamorarsi, di contemplare il cielo, di dormire in un letto, persino di morire in un letto, sembravano cose lontanissime. Più tardi i veterani di Verdun sarebbero stati guardati con orrore dagli altri soldati: si erano “abituati a camminare senza neppure accorgersene sui cadaveri dei commilitoni”; e avevano ascoltato il suono dei denti di enormi topi che li divoravano.

La battaglia di Verdun fu ritenuta così importante dai capi politici e militari francesi che la strada sulla quale venivano inviati rinforzi e munizioni ai combattenti fu chiamata “Via Sacra”; ma i soldati conoscevano la verità, cantavano una terribile canzone che diceva: “Et tout ça pour rien, et tout ça por rien”, tutto questo per niente.

Migliaia di militari dell’una e dell’altra parte furono fucilati per ordine dei generali: l’accusa era di diserzione o di codardia. In realtà erano uomini che rifiutavano di essere tramutati in macellai di uomini o in carne da macello. Benedetto XV parlò allora di “inutile strage”. Qualche tempo fa papa Ratzinger ha definito Verdun “momento oscuro della storia del Continente”, il quale “deve restare nella memoria dei popoli come un evento da non dimenticare mai e da non rivivere mai”.

Verdun denunzia la oscena idiozia delle guerre, la loro inutilità. Il primo conflitto mondiale provocò in Europa mutamenti di confini che avrebbero potuto essere ottenuti per via diplomatica. “Bruciò” due generazioni umane di europei (le vittime italiane furono 600 mila) con il risultato di seminare povertà e disperazione, le quali nutrirono la diffusione del fascismo e del nazismo.

I generali che avevano comandato le truppe di Verdun rivelarono negli anni successivi di essersi abituati a considerare le persone poco più che insetti: il maresciallo Hindenburg spianò a Hitler la via del potere, il maresciallo Petain collaborò con Hitler nella deportazione degli ebrei.

Nel resto del mondo non vi furono mutamenti se non nominali: i possedimenti coloniali tedeschi passarono alla Francia e alla Gran Bretagna e i loro popoli continuarono a essere crudelmente sfruttati. Le grandi industrie europee e americane (la Krupp, la General Motors, la Fiat, la Renault) furono le uniche a trarre enormi benefici dalla prima guerra mondiale.

E venticinque anni dopo scoppiò la seconda, quasi che la prima non ci fosse mai stata.

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16 dicembre - Lettera 119

martedì 26 dicembre 2006

La Lettera di San Giacomo e il cardinale Ruini

da LETTERA 119

21 dicembre

Mina Welby non è una donna qualunque, basta guardarla in faccia: gli occhi stanchi di chi ha avuto sonni continuamente interrotti, il volto con le rughe di chi troppe volte ha dovuto fingere un sorriso o nascondere un pianto.. Ha mantenuto in vita il suo uomo per una catena di giorni che sembrava infinita, come solo certe donne eroiche sanno fare quando il marito diventa un lungo degente e loro sono costrette a trasformare l’amore che gli portano, a diventare madri di un bambino senza bellezza. Sul corpo che un tempo si strinse gioiosamente al loro devono cercare ogni giorno, per tamponare, se è possibile, il progredire di un disfacimento senza recupero: le terribili piaghe da decubito, la perdita di funzionalità degli arti e degli sfinteri, la voce che diventa un bisbiglio, lo sguardo, talvolta, della bestia braccata, la speranza ormai evasa da ogni realtà.

Così ha vissuto per anni e anni Mina Welby e se ci fosse una medaglia all’amore coniugale, dovrebbe esserne insignita.

Quella medaglia dovrebbe dargliela, penso, il Movimento per la vita, perché Mina Welby ha mantenuto vivo e vigile (come suol dirsi) un uomo di cui si è innamorata e che ha sposato quando già le condizioni di lui erano segnate, segnato il suo destino. Lo ha conosciuto, ha raccontato, a una “gita parrocchiale”. Questo particolare mi commuove: tra i frutti più belli del Concilio c’è la nuova consapevolezza delle comunità cristiane a proposito dell’eminente dignità del malato; ogni volta che ad una festa o a un’altra lieta occasione vedo un gruppo di persone raccogliersi sorridendo intorno a una carrozzina, ripenso a un testo altissimo del Vaticano Secondo: “La Chiesa riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Salvatore”.

Per anni e anni Mina Welby ha dato al suo uomo non soltanto vita ma dignità di vita. Mi ha intenerito più volte vedere nelle fotografie come fosse propre questo malato: pulito e stirato il maglioncino, sbarbato il volto, pettinato il capo. Ma una donna non può ottenere l’impossibile neppure a costo di soccombere alla fatica. La vita di Piero è diventata una agonia sempre più atroce: speranze, nessuna; previsioni, terribili: fra qualche mese o settimana, non avrebbe più potuto deglutire, avrebbero dovuto operarlo nuovamente, introdurgli nell’in-testino una sonda per nutrirlo e idratarlo. Allora il corpo di Welby sarebbe stato definitivamente una crisalide di morte, una persona impedita di essere tale per la completa separatezza dalle funzioni umane. Infine - prima o poi... – sarebbe sopravvenuta la morte, per soffocazione. Piero Welby, che aveva retto tante sofferenze, di questa modalità di morte aveva il terrore.

Mia moglie ed io abbiamo testimoniato, anni fa, in una causa di beatificazione, sulle virtù eroiche di Luigi Rocchi, un popolano di Tolentino. Malato della stessa malattia di Welby, Luigi aveva fatto del suo letto una cattedra di coraggio e di fede. Ma la morte era arrivata a quarant’anni e senza la costrizione meccanica imposta al marito di Mina dalla paradossale crudeltà del progresso tecnologico. E non tutti possono essere santi od eroi. “Luigino” Rocchi era noto a molti e da molti fu pianto e viene ricordato. Ma ebbe la fortuna di non diventare, come Piergiorgio Welby, un “caso”, un nodo di paure ancestrali e di speculazioni politiche, di commi e di moralismi, di giuste preoccupazioni e di filosofemi. Nessuno si arrogò il diritto di condannarlo a morte o a una non-vita. La madre eroica che egli ebbe accanto non dovette ascoltare discussioni su un caso piuttosto che su un uomo. Intorno a Piergiorgio, invece, si è eretto un circo mediatico in cui le conferenze stampa hanno prevalso su un rispettoso silenzio e una silenziosa solidarietà.

Quelle intorno al caso Welby non sono state tutte parole inutili ma non credo siano servite molto a Mina. Sappiamo che Mina voleva, disperatamente voleva, che Piero non la lasciasse; ma anche che non si sentiva di imporgli, costringendolo a “vivere”, di andare verso l’orribile morte temuta.

22 dicembre

Neppure alla fine, lei restò con quel caro corpo, contorto dalla malattia, ma ormai in pace. Lo Stato glielo sottrasse per indagare su un possibile crimine. Intanto il dibattito continuava. Ma non per il Vicariato di Roma. Il cardinale Ruini, lui aveva soltanto certezze: il peccato per lui dominava la tragedia. E quando Mina desiderò che la Chiesa, la “sua” Chiesa, perchè Mina è cattolica, si prendesse cura del suo dolore nella celebrazione di un funerale relgioso, il porporato ha risposto che no, non si poteva, lo vietava il codice di diritto canonico. Lo ha spiegato ai telegiornali, con serena fermezza, il vescovo monsignor Fisichella: é vero che, a differenza di quanto avveniva un tempo, la Chiesa concede oggi ai suicidi funerali religiosi perchè può darsi che la loro scelta sia il risultato di un improvviso squilibrio psichico; ma Piergiorgio Welby era perfettamente consapevole di ciò che chiedeva.

Perfettamente lucido e libero nelle sue decisioni dopo un martirio di tanti anni, una tortura quotidiana e prospettive ancora più atroci? Mina Welby, il suo dolore, il suo eroismo – ha detto la Curia - possono attendere. Forse più avanti, in forma riservata... I commi dei giuristi prevalgono sull’insegnamento del Cristo? Dice la Lettera di San Giacomo: “religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro padre è soccorrere gli orfani e le vedove nel momento delle loro afflizioni...”.

Parola di Dio, ma non a Roma.

giovedì 21 dicembre 2006

Lettera aperta al predicatore del Papa

Caro padre Raniero Cantalamessa,

noi, le vittime della pedofilia clericale, ci complimentiamo perché dalla Casa Pontificia si alza una voce in nostro favore: una giornata annuale di digiuno per cancellare la macchia, che portiamo impressa nella carne come le stigmate di nostro Signore.
Certi che ci spetta un posticino nel presepio, tra i piccoli innocenti, ci rivolgiamo al Cielo per sapere che ne pensa della tua proposta.

“Signore, noi gli agnelli immolati per i peccati della Chiesa, chiediamo: è sufficiente un digiuno di 24 ore per dimenticare tanta ignominia e l’omertà, il silenzio complice dei tuoi pastori?
Le tue parole incontrovertibili consigliano qualcosa di più di un semplice digiuno: “Chi scandalizza un fanciullo, sarebbe meglio mettergli una macina da mulino al collo e buttarlo nel mare” (Mt 18,5s).
Perché tu usi un metro e i tuoi seguaci un altro?
Non ci scandalizza che Tizio e Caio sbaglino. Ci turba che un’istituzione “divina” consideri materia di foro interno, un fatto privato, un delitto tanto grave, i cui responsabili devono essere denunciati alla polizia.
Chi minimizza, copre, smista i rei da una parrocchia all’altra, non si rende corresponsabile del delitto?
Ma i tuoi ministri continuano a consigliare di non sporgere denuncia (cf le risposte di alcuni parroci di Milano durante l’inchiesta televisiva de “Le Jene”).
E il “crimen sollicitationis” riservato alla Congregazione competente, non è un sottrazione indebita all’azione della magistratura?
E che dire della controffensiva del vescovo di Agrigento, il quale cita in tribunale per diffamazione una vittima della pedofilia, che dal banco dell’offeso passerà a quello del colpevole?
Oltre al danno, le beffe!
Quando si giunge a capovolgere la morale, come non dubitare che a monte ci sia qualcosa che non va?
Forse si può dire che l’autorità civile tutela, difende gli innocenti meglio dell’autorità religiosa. Per un delitto così abominevole la giustizia umana prevede la prigione e il risarcimento dei danni, la morale cattolica sembra considerarlo un peccato da “smacchiare” con una indulgenza o un digiuno.
Vedi, Signore, in Vaticano si minimizza: “In fin dei conti, si tratta dell’uno per cento dei preti: su 450.000 “solo” 4.500 si voterebbero a queste turpi pratiche nei luoghi sacri…” (negli USA 4.500 le cause in corso, ma le vittime sarebbero più di 11.000).
Forse non ci si rende conto che si tratta di un’operazione esponenziale: ogni pedofilo produce, in media, una decina di vittime; ognuna di queste, per un perverso circolo vizioso, ne produce almeno altrettante. E via dicendo, cioè e via moltiplicando vittime innocenti.
Inevitabile chiedersi: come mai tutto ciò con tante preghiere, studi teologici, ritiri, messe?
Il seminario, la formazione non hanno una qualche relazione di causa ed effetto con questi fatti?
Troppo facile puntare il dito sugli esecutori materiali del delitto senza chiamare per nome i mandanti, come certa cultura sessuofoba e misogina.
Se per anni si induce il candidato a ignorare, se non a cancellare la propria corporeità, si potranno mai produrre presbiteri maturi?
Se fin da ragazzi si è “educati” a negare l’umano, a vedere la sessualità con gli occhiali neri della cultura pagana, come avremo dei preti capaci di portare il giogo obbligatorio della castità?
Non è temerarietà spedirli in parete da sesto grado senza l’equipaggiamento necessario? Non a caso la “Convenzione sui Diritti del minore” (U.N. General Assembly, Document A/RES/44/25, 12.12.1989) ne proibisce il reclutamento fuori dall’ambiente familiare.

Caro padre, perché non scrivere a caratteri cubitali in ogni messale, breviario, libro di preghiera, sito internet, luogo di ritrovo cattolico: “Per il delitto di pedofilia il codice penale prevede anni di reclusione, il Cristo consiglia di buttarsi in mare”?

Ed ora qualche suggerimento:
1- quando predichi alla corte pontificia, perché non porti con te un gruppo dei nostri? Abbiamo tanti Calvari da consegnare al cuore paterno del Santo Padre e del collegio cardinalizio: non siamo noi i “vostri “crocifissi?
2- quando i cardinali sono convocati a trattare nostra materia, perché non invitare i nostri rappresentanti? Siete preoccupati delle nostre piaghe o dell’esodo dei beni ecclesiastici, della fuga dei cattolici e rispettive elemosine?
3- il digiuno farà anche bene alla “linea cattolica” (Gesù non lo raccomanda affatto), ma noi esigiamo un mini-concilio, perché la Chiesa si riconcili con le vittime: in prima fila noi, i “santi innocenti” dei nuovi Erodi; poi i figli dei preti condannati a vivere senza padre; poi le suore abusate dai preti con i loro aborti; poi le donne “usa-e-getta” dei preti; poi i preti sposati trattati come malfattori. Sia chiaro: non bastano due preghierine o un pio digiuno, vogliamo giustizia, cioè il risarcimento dei danni morali e materiali.
4- Auspichiamo un anno di penitenza per chiedere perdono a Dio e a noi del male che ci avete fatto. Non sarebbe l’unica maniera per fare capire ai preti pedofili la gravità del loro misfatto, che ci tortura giorno e notte con rimorsi, incubi, piaghe dell’anima?”.

Per finire, ricordi?
Eravamo insieme nel convento di Milano, tu assistente alla Cattolica, io studente di teologia. Alla vigilia dell’ordinazione presbiterale, dubbioso, ti chiedo: “Riuscirò ad osservare il voto di castità?”. E tu: “Non ti preoccupare, basta pregare e tutto si aggiusta…”.
La conclusione va da sé, vero?

p. Fausto Marinetti

giovedì 16 novembre 2006

Il dovere di Israele di scegliere la pace

Il discorso pronunciato in piazza a Tel Aviv dallo scrittore David Grossman

Il ricordo di Yitzhak Rabin è un momento di pausa in cui riflettiamo anche su noi stessi. Quest´anno la riflessione non è per noi facile. C´è stata una guerra. Israele ha messo in mostra una possente muscolatura militare dietro la quale ha però rivelato debolezza e fragilità. Abbiamo capito che la potenza militare in mano nostra non può, in fin dei conti, garantire da sola la nostra esistenza. Abbiamo soprattutto scoperto che Israele sta attraversando una crisi profonda, molto più profonda di quanto immaginassimo, una crisi che investe quasi tutti gli aspetti della nostra esistenza.

Parlo qui, stasera, in veste di chi prova per questa terra un amore difficile e complicato, e tuttavia indiscutibile. Come chi ha visto trasformarsi in tragedia, in patto di sangue, il patto che aveva sempre mantenuto con essa. Io sono laico, eppure ai miei occhi la creazione e l´esistenza stessa di Israele sono una sorta di miracolo per il nostro popolo, un miracolo politico, nazionale e umano; e io non lo dimentico neppure per un istante. Anche quando molti episodi della nostra realtà suscitano in me indignazione e sconforto, anche quando il miracolo si frantuma in briciole di quotidianità, di miseria e di corruzione, anche quando la realtà appare una brutta parodia del miracolo, esso per me rimane tale.

‘Guarda o terra, quanto abbiamo sprecato´ scriveva il poeta Shaul Tchernikovsky nel 1938 lamentandosi del fatto che nel suolo della terra di Israele venivano seppelliti, ragazzi nel fiore degli anni. La morte di giovani è uno spreco terribile, lancinante. Ma non meno terribile è che Israele sprechi in modo criminale non solo le vite dei suoi figli ma anche il miracolo di cui è stato protagonista, l´opportunità grande e rara offertagli dalla storia, quella di creare uno stato illuminato, civile, democratico, governato da valori ebraici e universali. Uno stato che sia dimora nazionale, rifugio e anche luogo che infonda un nuovo senso all´esistenza ebraica. Uno stato in cui una parte importante e sostanziale della sua identità ebraica, della sua etica ebraica, sia mantenere rapporti di completa uguaglianza e di rispetto con i suoi cittadini non ebrei. E guardate cosa è successo.

Guardate cosa è successo a una nazione giovane, audace, piena di entusiasmo. Guardate come, quasi in un processo di invecchiamento accelerato, Israele è passato da una fase di infanzia e di giovinezza, a uno stato di costante lamentela, di fiacchezza, alla sensazione di aver perso un´occasione. Com´è successo? Quando abbiamo perso la speranza di poter vivere un giorno una vita migliore? E come possiamo oggi rimanere a guardare, come ipnotizzati, il dilagare della follia, della rozzezza, della violenza e del razzismo in casa nostra?

Com´è possibile che un popolo dotato di energie creative e inventive come il nostro, che ha saputo risollevarsi più volte dalle ceneri, si ritrovi oggi, proprio quando possiede una forza militare tanto grande, in una situazione di inerzia e di impotenza? Situazione in cui è nuovamente vittima, ma questa volta di sé stesso, dei suoi timori, della sua disperazione e della sua miopia.

Uno degli aspetti più gravi messi in luce dalla guerra è che attualmente non esiste un leader in Israele. Che la nostra dirigenza politica e militare è vuota di contenuto. E non mi riferisco agli evidenti errori commessi nella conduzione della guerra o all´abbandono delle retrovie a se stesse. Non mi riferisco nemmeno agli episodi di corruzione, grandi e piccoli, agli scandali, alle commissioni di inchiesta. Mi riferisco al fatto che chi ci governa oggi non è in grado di far sì che gli israeliani si rapportino alla loro identità e tanto meno agli aspetti più sani, vitali e fecondi di essa; non agli elementi della loro memoria storica che possano infondere in loro forza e speranza, che li incoraggino ad assumersi responsabilità gli uni nei confronti degli altri e diano un qualsiasi significato alla sconfortante e spossante lotta per l´esistenza.

La maggior parte dei leader odierni non è in grado di risvegliare negli israeliani un senso di continuità storica e culturale. O di appartenenza a uno schema di valori chiaro, coerente e consolidato negli anni. I contenuti principali di cui l´odierna dirigenza israeliana riempie il guscio del suo governo sono la paura da un lato e la creazione di ansie dall´altro, il miraggio della forza, l´ammiccamento al raggiro, il misero commercio di tutto ciò che ci è più caro. In questo senso non sono dei veri leader. Certo non i leader di cui un popolo tanto disorientato e in una situazione tanto complessa come quella israeliana ha bisogno. Talvolta pare che l´eco del pensiero dei nostri leader, la loro memoria storica, i loro ideali, tutto quello che è veramente importante per loro, non oltrepassi il minuscolo spazio esistente tra due titoli di giornale. O le pareti dell´ufficio del procuratore generale dello Stato. Osservate chi ci governa. Non tutti, naturalmente, ma troppi fra loro. Osservate il loro modo di agire, spaventato, sospettoso, affannato; il loro comportamento viscido e intrigante. Quando è stata l´ultima volta che il Primo Ministro ha espresso un´idea o compiuto un passo in grado di spalancare un nuovo orizzonte agli israeliani? Di prospettare loro un futuro migliore? Quando mai ha intrapreso un´iniziativa sociale, culturale, morale, senza limitarsi a reagire scompostamente a iniziative altrui?

Signor Primo Ministro. Non parlo spinto da un sentimento di rabbia o di vendetta. Ho aspettato abbastanza per non reagire mosso dall´impulso del momento. Questa sera lei non potrà ignorare le mie parole sostenendo che: "Non si giudica una persona nel momento della tragedia". È ovvio che sto vivendo una tragedia. Ma più di quanto io provi rabbia, provo dolore. Provo dolore per questa terra, per quello che lei e i suoi colleghi state facendo. Mi creda, il suo successo è importante per me perché il futuro di noi tutti dipende dalla sua capacità di agire. Yitzhak Rabin aveva imboccato il cammino della pace non perché provasse grande simpatia per i palestinesi o per i loro leader. Anche allora, come ricordiamo, era opinione generale che non avessimo un partner e che non ci fosse nulla da discutere con i palestinesi. Rabin si risolse ad agire perché capì, con molta saggezza, che la società israeliana non avrebbe potuto resistere a lungo in uno stato di conflitto irrisolto. Capì, prima di molti altri, che la vita in un clima costante di violenza, di occupazione, di terrore, di ansia e di mancanza di speranza, esigeva un prezzo che Israele non avrebbe potuto sostenere.

Tutto questo è vero anche oggi, ed è ancora più impellente. Da più di un secolo ormai viviamo in uno stato di conflitto. Noi, cittadini di questo conflitto, siamo nati nella guerra, siamo stati educati nella guerra e, in un certo senso, siamo stati programmati per la guerra. Forse per questo pensiamo talvolta che questa follia in cui viviamo ormai da cento anni sia l´unica, vera realtà. L´unica vita destinata a noi e che non abbiamo la possibilità, o forse neppure il diritto, di aspirare a una vita diversa: vivremo e moriremo con la spada e combatteremo per l´eternità.

Forse per questo siamo così indifferenti al totale ristagno del processo di pace. Forse per questo la maggior parte di noi ha accettato con indifferenza il rozzo calcio sferrato alla democrazia dalla nomina di Avigdor Lieberman a ministro, un potenziale piromane posto a capo dei servizi statali responsabili di spegnere gli incendi. Questi sono anche, in parte, i motivi per cui, in tempi brevissimi, Israele è precipitato nell´insensibilità, nella crudeltà, nell´indifferenza verso i deboli, verso i poveri, verso chi soffre, verso chi ha fame, verso i vecchi, i malati, gli invalidi, il commercio di donne, lo sfruttamento e le condizioni di schiavitù in cui vivono i lavoratori stranieri e verso il razzismo radicato, istituzionale, nei confronti della minoranza araba. Quando tutto questo accade con totale naturalezza, senza suscitare scandali né proteste, io comincio a pensare che anche se la pace giungerà domani, anche se un giorno torneremo a una situazione di normalità, abbiamo forse già perso l´opportunità di guarire.

La tragedia che ha colpito me e la mia famiglia non mi concede privilegi nel dibattito politico ma ho l´impressione che il dover affrontare la morte e la perdita di una persona cara comporti anche una certa lucidità e chiarezza di vedute, per lo meno per quanto riguarda la distinzione tra ciò che è importante e ciò che è secondario, tra ciò che è possibile ottenere e ciò che è impossibile. Tra la realtà e il miraggio.

Ogni persona di buon senso in Israele – e aggiungo, anche in Palestina – sa esattamente quale sarà, a grandi linee, la soluzione del conflitto tra i due popoli. Ogni persona di buon senso è anche consapevole in cuor suo della differenza tra sogno e aspirazione e ciò che è possibile ottenere alla fine di un negoziato. Chi non lo sa, arabo o ebreo che sia, non è già più un possibile interlocutore, è prigioniero di un fanatismo ermetico e non è quindi un possibile partner. Consideriamo un attimo il nostro partner. I palestinesi hanno scelto come loro guida Hamas che rifiuta di negoziare con noi e di riconoscerci. Cosa si può fare in una situazione simile? Cos´altro ci rimane da fare? Continuare a soffocarli? A uccidere centinaia di palestinesi a Gaza, per la maggior parte semplici cittadini come noi?

Si rivolga ai palestinesi, Signor Olmert. Si rivolga a loro al di sopra delle teste di Hamas. Si appelli ai moderati, a chi si oppone, come lei e me, a Hamas e alla sua strada. Si appelli al popolo palestinese. Non si ritragga dinanzi alla sua ferita profonda, riconosca la sua continua sofferenza. Lei non perderà nulla, e neppure Israele, in un futuro negoziato. Solo i cuori si apriranno un poco gli uni agli altri, e questa apertura racchiuderà in sé una forza enorme. In una simile situazione di immobilità e di ostilità la semplice compassione umana possiede la forza di una cataclisma naturale.

Per una volta tanto guardi i palestinesi non attraverso il mirino di un fucile o da dietro le sbarre chiuse di un check point. Vedrà un popolo martoriato non meno di noi. Un popolo conquistato, oppresso e senza speranza. È ovvio che anche i palestinesi sono colpevoli del vicolo cieco in cui ci troviamo. È ovvio che anche loro sono ampiamente responsabili del fallimento del processo di pace. Ma li guardi un momento con occhi diversi. Non solo gli estremisti fra loro. Non solo chi ha stretto un patto di interesse con i nostri estremisti. Guardi la maggior parte di questo povero popolo il cui destino è legato al nostro, che lo si voglia o no.

Si rivolga ai palestinesi, signor Olmert, non continui a cercare ragioni per non dialogare con loro. Ha rinunciato all´idea di un nuovo ritiro unilaterale, e ha fatto bene. Ma non lasci un vuoto che verrebbe immediatamente colmato dalla violenza e dalla distruzione. Intavoli un dialogo. Avanzi una proposta che i moderati (e fra loro sono più di quanto i media ci mostrino) non possano rifiutare. Lo faccia, in modo che i palestinesi possano decidere se accettarla o se rimanere ostaggi dell´Islam fanatico. Presenti loro il piano più coraggioso e serio che Israele è in grado di proporre. La proposta che agli occhi di ogni israeliano e palestinese sensato contenga il massimo delle concessioni, nostre e loro. Non stia a discutere di bazzecole. Non c´è tempo. Se tentennerà, fra poco avremo nostalgia del dilettantismo del terrorismo palestinese. Ci batteremo il capo urlando: come abbiamo potuto non fare ricorso a tutta la nostra elasticità di pensiero, a tutta la creatività israeliana, per strappare i nostri nemici dalla trappola in cui si sono lasciati cadere?
Proprio come ci sono guerre combattute per mancanza di scelta, c´è anche una pace che si rincorre per "mancanza di scelta". Non abbiamo scelta, né noi né loro. E dobbiamo aspirare a questa pace forzosa con la stessa determinazione e creatività con cui partiamo per una guerra forzosa. Perché non c´è scelta e chi ritiene che ci sia, che il tempo giochi a nostro favore, non capisce i processi pericolosi in cui già ci troviamo.

E più in generale, signor Primo Ministro, forse dovremmo rammentarle che se un qualsiasi leader arabo invia segnali di pace – anche impercettibili e titubanti – lei ha il dovere morale di rispondere. Ha il dovere di verificare immediatamente l´onestà e la serietà di quel leader. Deve farlo per coloro ai quali chiede di sacrificare la vita nel caso scoppi una nuova guerra. E quindi, se il presidente Assad dice che la Siria vuole la pace – per quanto lei non gli creda e tutti noi nutriamo sospetti nei suoi confronti – deve offrirgli di incontrarlo subito. Senza aspettare nemmeno un giorno. In fondo, non ha aspettato nemmeno un´ora a dare inizio all´ultima guerra. Si è lanciato nell´offensiva con tutte le sue forze. Con tutte le armi a disposizione e tutta la loro potenza distruttiva. Allora perché quando c´è un segnale di pace lei si affretta a respingerlo, a lasciarlo svanire? Cos´ha da perdere? Nutre forse dei sospetti nei confronti del presidente siriano? Allora gli presenti delle condizioni tali da rivelare la sua macchinazione. Gli proponga un processo di pace che duri qualche anno e alla fine del quale, se tutte le condizioni e le restrizioni verranno rispettate, gli verranno restituite le alture del Golan. Lo costringa al dialogo. Agisca in modo che nella coscienza del popolo siriano si delinei anche questa possibilità. Dia una mano ai moderati, che sicuramente esistono anche lassù. Cerchi di plasmare la realtà, non di esserne solo un collaborazionista. È stato eletto per questo. Esattamente per questo.

E in conclusione. È ovvio che non tutto dipende da noi e ci sono forze grandi e potenti che agiscono in questa regione e nel mondo e alcune di loro – come l´Iran e come l´Islam radicale – non hanno buone intenzioni nei nostri confronti. Eppure molto dipende da come agiremo noi, da ciò che saremo. Attualmente non esiste grande disparità tra la sinistra e la destra. La stragrande maggioranza degli israeliani capisce ormai – per quanto alcuni senza troppo entusiasmo – quale sarà a grandi linee la soluzione del conflitto: questa terra verrà divisa, sorgerà uno stato palestinese. Perché, quindi, continuare a sfibrarci in una querelle intestina che dura da quasi quarant´anni?! Perché la dirigenza politica continua a rispecchiare le posizioni dei radicali e non quelle della maggior parte degli elettori? Dopo tutto la nostra situazione sarebbe migliore se raggiungessimo un´intesa nazionale prima che le circostanze – pressioni esterne, una nuova Intifada o una nuova guerra – ci costringano a farlo. Se lo faremo risparmieremo anni di versamenti di sangue e di spreco di vite umane. Anni di terribili errori.

Mi appello a tutti, ai reduci dalla guerra che sanno che dovranno pagare il prezzo del prossimo scontro armato, ai sostenitori della destra, della sinistra, ai religiosi e ai laici: fermatevi un momento, guardate l´orlo del baratro, pensate a quanto siamo vicini a perdere quello che abbiamo creato. Domandatevi se non sia arrivata l´ora di riscuoterci dalla paralisi, di fare una distinzione tra ciò che è possibile ottenere e ciò che non lo è, di esigere da noi stessi, finalmente, la vita che meritiamo di vivere.


da "La Repubblica", 5 novembre 2006

giovedì 9 novembre 2006

La "multinazionale" CESNUR

"[La TFP] sostiene la necessità che vengano ricuperati i valori sociali della classe privilegiata, delle famiglie di stirpe elevata, delle famiglie di buon ceppo, per i loro titoli e le loro tradizioni." (Cardinale Bernardino Echevarria Ruiz in Cristianità, gennaio 1996, p. 17)

Rileviamo dal sito http://www.kelebekler.com/ e gradiamo, nel nostro piccolissimo, diffondere. Il documento è lungo, ma ricco di ... "spunti" per riflettere. Buona lettura! [Redazione]


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Negli Stati Uniti, i think tank neoconservatori (http://www.kelebekler.com/caimani/articoli.htm), dedicati alla trasformazione radicale del mondo attraverso lo studio di questioni militari, culturali, religiose ed economiche, promuovono con successo una cultura basata sulla giustificazione della disuguaglianza e l'assoluta libertà d'impresa, a discapito di tutti gli altri diritti.

Non tutti i think tank della nuova destra internazionale sono però di origine statunitense. Uno ad esempio nasce in Italia: si tratta del CESNUR (http://www.kelebekler.com/cesnur/ita.htm), il "Centro Studi Nuove Religioni", diretto dall'avvocato Massimo Introvigne (http://www.kelebekler.com/cesnur/storia/it00.htm).

Presentandosi pubblicamente come un'associazione apolitica e aconfessionale di ricerca, si tratta in realtà di un'organizzazione militante, ispirata a un'ideologia che si autodefinisce "contro-rivoluzionaria".

Pur essendo diretto da integralisti cattolici, il CESNUR promuove una sorta di ecumenismo tra multinazionali che predicano il liberismo globale; e infatti vedremo come il CESNUR riesce a portare sotto un tetto comune apologeti dell'Inquisizione e sostenitori di Scientology, estremisti cattolici ed esoteristi affiliati a logge massoniche. Si tratta quindi di un esempio notevole di quello che è stato definito il movimento dei "cristianisti" (http://www.kelebekler.com/occ/xisti.htm).

Questo approccio è evidentemente apprezzato dai committenti del CESNUR, se lo stesso Introvigne si vanta di aver "tenuto lezioni o coordinato corsi – fra gli altri – per il Critical Incidents Response Group dell’FBI e per esperti di sicurezza israeliani" (Quarta di copertina di Massimo Introvigne, Osama bin Laden. Apocalisse sull'Occidente, Elledici, Leumann (Torino) 2001).

Il CESNUR è stato fondato a Torino nel 1988. Giuridicamente, esistono un "CESNUR Italia" e un "CESNUR International", entrambi comunque diretti sin dalla fondazione, con mano ferma, dall'avv. Massimo Introvigne. In anni più recenti, il CESNUR ha fondato anche filiali autonome in Francia e negli Stati Uniti.

Il CESNUR definisce se stesso "una rete internazionale di accademici che si occupano di studiare i 'nuovi movimenti religiosi'" con sede a Torino, Italia" e sostiene di essere "indipendente da qualunque gruppo, movimento, denominazione o associazione religiosa". (1)

Sorprende quindi constatare che il CESNUR Italia coincide in tutto e per tutto con un'altra organizzazione politico-religiosa, Alleanza Cattolica (http://www.kelebekler.com/cesnur/storia/it05.htm). Ma le sorprese non finiscono qui: Alleanza Cattolica nasce come ramo italiano - o "consorella" - di un gruppo brasiliano estremamente controverso e fanatico, Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP; http://www.kelebekler.com/cesnur/storia/it10.htm). Sebbene Alleanza Cattolica sia autonoma in termini organizzativi dalla TFP, esso si rifà al "magistero contro-rivoluzionario" dell'eccentrico fondatore della TFP, Plinio Corrêa de Oliveira (http://www.kelebekler.com/cesnur/storia/it11.htm).

Ora, si dichiarano infatti "militanti" di Alleanza Cattolica tutti i principali esponenti del CESNUR Italia, dallo stesso fondatore Massimo Introvigne al suo braccio destro PierLuigi Zoccatelli, per non parlare di Ermanno Pavesi, Andrea Menegotto, Aldo Carletti, Paolo Di Giovanni e Marco Albera. Ma l'intera organizzazione di Alleanza Cattolica opera per promuovere in tutti i modi l'associazione di Massimo Introvigne: ciascun militante dell'organizzazione infatti, nel proprio ambito di attività, sostiene le attività del CESNUR.

"Così militanti di Alleanza Cattolica, con altri, hanno fondato e tuttora animano il CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni." (Massimo Introvigne, La questione della nuova religiosità, 1993, p. 49)


Il Caso CESNUR

Negli Stati Uniti, i think tank neoconservatori, dedicati alla trasformazione radicale del mondo attraverso lo studio di questioni militari, culturali, religiose ed economiche, promuovono con successo una cultura basata sulla giustificazione della disuguaglianza e l'assoluta libertà d'impresa, a discapito di tutti gli altri diritti.

Non tutti i think tank della nuova destra internazionale sono però di origine statunitense. Uno ad esempio nasce in Italia: si tratta del CESNUR, il "Centro Studi Nuove Religioni", diretto dall'avvocato Massimo Introvigne. Presentandosi pubblicamente come un'associazione apolitica e aconfessionale di ricerca, si tratta in realtà di un'organizzazione militante, ispirata a un'ideologia che si autodefinisce "contro-rivoluzionaria". Pur essendo diretto da integralisti cattolici, il CESNUR promuove una sorta di ecumenismo tra multinazionali che predicano il liberismo globale; e infatti vedremo come il CESNUR riesce a portare sotto un tetto comune apologeti dell'Inquisizione e sostenitori di Scientology, estremisti cattolici ed esoteristi affiliati a logge massoniche. Si tratta quindi di un esempio notevole di quello che è stato definito il movimento dei "cristianisti".

Questo approccio è evidentemente apprezzato dai committenti del CESNUR, se lo stesso Introvigne si vanta di aver "tenuto lezioni o coordinato corsi – fra gli altri – per il Critical Incidents Response Group dell’FBI e per esperti di sicurezza israeliani" (Quarta di copertina di Massimo Introvigne, Osama bin Laden. Apocalisse sull'Occidente, Elledici, Leumann (Torino) 2001).

Il CESNUR è stato fondato a Torino nel 1988. Giuridicamente, esistono un "CESNUR Italia" e un "CESNUR International", entrambi comunque diretti sin dalla fondazione, con mano ferma, dall'avv. Massimo Introvigne. In anni più recenti, il CESNUR ha fondato anche filiali autonome in Francia e negli Stati Uniti.

Il CESNUR definisce se stesso "una rete internazionale di accademici che si occupano di studiare i 'nuovi movimenti religiosi'" con sede a Torino, Italia" e sostiene di essere "indipendente da qualunque gruppo, movimento, denominazione o associazione religiosa". (1)

Sorprende quindi constatare che il CESNUR Italia coincide in tutto e per tutto con un'altra organizzazione politico-religiosa, Alleanza Cattolica. Ma le sorprese non finiscono qui: Alleanza Cattolica nasce come ramo italiano - o "consorella" - di un gruppo brasiliano estremamente controverso e fanatico, Tradizione, Famiglia e Proprietà (TFP). Sebbene Alleanza Cattolica sia autonoma in termini organizzativi dalla TFP, esso si rifà al "magistero contro-rivoluzionario" dell'eccentrico fondatore della TFP, Plinio Corrêa de Oliveira. Ora, si dichiarano infatti "militanti" di Alleanza Cattolica tutti i principali esponenti del CESNUR Italia, dallo stesso fondatore Massimo Introvigne al suo braccio destro PierLuigi Zoccatelli, per non parlare di Ermanno Pavesi, Andrea Menegotto, Aldo Carletti, Paolo Di Giovanni e Marco Albera. Ma l'intera organizzazione di Alleanza Cattolica opera per promuovere in tutti i modi l'associazione di Massimo Introvigne: ciascun militante dell'organizzazione infatti, nel proprio ambito di attività, sostiene le attività del CESNUR.



In un messaggio scambiato con lo studioso olandese Anton Hein, Introvigne spiegò qualcosa sul finanziamento del CESNUR. Introvigne si vanta di guadagnare molto dal proprio lavoro (e in effetti secondo un recente articolo su La Stampa risulta tra i dieci massimi contribuenti nella città degli Agnelli) e di essere anche ricco di famiglia; mentre altri importanti contribuenti al CESNUR sarebbero l'avvocato mormone Michael Homer (di cui si parlerà più avanti) e PierMarco Ferraresi,"un professore del Dipartimento di Economia dell'Università di Torino, che viene però da una famiglia benestante ed è un importante azionista nella principale azienda di proprietà della sua famiglia". Introvigne omette di menzionare il fatto che anche Ferraresi è un noto militante di Alleanza Cattolica (si occupa soprattutto della giustificazione ideologica ed economica della proprietà privata in un'ottica che egli definisce - rifacendosi all'autore inglese Colin Clark - di "destra liberista").

Il CESNUR Internazionale (chissà perché non il CESNUR Italia) è riconosciuto come "persona giuridica" dalla Regione Piemonte (con decreto 150-11310). Qualunque sia la sua struttura giuridica, le decisioni vengono prese insieme da un nucleo ristretto di persone:
Massimo Introvigne, avvocato miliardario, militante e dirigente di Alleanza Cattolica e membro del comitato centrale del CCD(2). È anche membro del comitato tecnico scientifico della Fondazione Nova Res Publica, che ha il compito di "arricchire e ampliare l'azione politica di Forza Italia." Ci può aiutare a capire qualcosa della mentalità di Introvigne leggere come la fondazione Nova Res Publica si rifaccia al pensiero dell'ideologo statunitense Michael Novak:
"Novak è una figura straordinaria nel panorama della cultura mondiale…colui che più di ogni altro ha contribuito, nell'ultimo quarto di secolo, a mostrare le comuni radici, il comune presente, ed il comune futuro di cristianesimo e capitalismo."
(citato sul sito di Forza Italia)

Gordon Melton, pastore della chiesa metodista Emanuel United Methodist Church di Evanston, Illinois, negli Stati Uniti. Melton è intervenuto più volte in processi riguardanti Scientology, come testimone a difesa della controversa multinazionale statunitense (nel 1981, ad esempio, in un processo, sostenne la natura "pienamente religiosa" di Scientology, adducendo come prova complessiva della propria competenza in materia il fatto di aver assistito una volta a un matrimonio nel gruppo e a una "cerimonia domenicale"). Per il pastore metodista, la difesa delle organizzazioni più controverse si è trasformata in un mestiere lucrativo: basti ricordare come nel 1995 Melton e un suo amico, James Lewis, riuniti nell'organizzazione "AWARE" o Association of World Academics for Religious Education difesero la banda giapponese Aum Shinrikyo. La setta, che aveva appena compiuto la terribile strage nella metropolitana di Tokyo, pagò gli studiosi in anticipo; e bisogna dire che lavorarono per il loro committente con lealtà. Senza conoscere una parola di giapponese, atterrarono a Tokyo e conclusero, come scrisse James Lewis, che:
Come esperto di religioni mondiali, ero già molto rattristato da gran parte dei resoconti che avevo letto nei media, che demonizzavano senza sosta l'AUM Shinrikyo come un "culto malvagio."
Melton ha scritto diversi libri direttamente commissionati e pagati da vari gruppi, tra cui la Ramtha School of Enlightenment; gli stessi gruppi hanno poi provveduto alla diffusione dei suoi libri. Lo stesso fece anche anni fa la setta di Moon in Italia con un libro di Introvigne.

Eileen Barker, docente inglese, legata da storici vincoli di amicizia al Movimento dell'Unificazione di Sun Myung Moon, il fondatore della famigerata Lega Mondiale Anticomunista. Anche se si tratta ormai di un passato abbastanza lontano, fa comunque una certa impressione constatare che lo studioso tedesco di questioni settarie, il pastore Haack, riuscì a documentare non meno di diciotto "viaggi di studio" della prof.ssa Barker interamente spesati dalla multinazionale coreana.

A questi tre, si affiancano anche:

PierLuigi Zoccatelli, membro in gioventù del gruppo crowleyano "Temple ov Psychick Youth", attualmente però militante di Alleanza Cattolica e impiegato a tempo pieno presso il CESNUR.

Jean-François Mayer, proveniente dalla "Nuova Destra" franco-svizzera, ex-Opus Dei, attualmente di religione ortodossa. Egli lavora come consulente sulla sicurezza per il governo svizzero.

Jean-François Mayer con Eileen Barker
Michael W. Homer, avvocato di Salt Lake City ed esponente di spicco della Chiesa dei Santi degli Ultimi Giorni, meglio nota come la religione dei Mormoni, un'organizzazione molto impegnata nel sostegno agli ambienti politici di destra negli Stati Uniti. Da giovane è stato anche missionario in Italia. Per rendere un po' più complessa la ragnatela del CESNUR, ricordiamo che mentre Melton fa parte del CESNUR Internazionale, Homer dirige invece il piccolo CESNUR USA.

Antoine Faivre, un esoterista francese membro della sezione di scienze religiose della École Pratique des Hautes Études di Parigi, un avamposto della Nuova Destra francese. Egli è editore della rivista Aries. Questa rivista, che oggi si presenta come pubblicazione accademica, nasce in realtà tra gli ambienti esoterici di La Table d’Émeraude e di Archè-Edidit. Faivre è presidente dell'associazione "CESNUR France".

L'avv. Olivier-Louis Séguy è segretario del CESNUR France. Séguy lavora in stretto contatto, anche all'interno del CESNUR Francia, con l'avvocato Jean Marc Florand, è il difensore dei Testimoni di Geova nei processi e ha organizzato in particolare anche i "colloqui" della Società Torre di Guardia presso l'Assemblea Nazionale francese il 26/11/93 e 24/11/95 (vedi L'événement du jeudi-4 del 10/11/96). Florand è un personaggio assai curioso: nel 1996, ha costituito un Observatoire national d'étude sur les sectes, per combattere le commissioni d'inchiesta del parlamento francese sulle sette. Curiosamente, sia Jean-Marc Florand che il suo assistente, Louis-Edmond Pettiti, sono stati tra i dirigenti dell' Association des juristes catholiques, ritenuta molto vicina all'Opus Dei.

Nel 1994, Florand ruppe in maniera inattesa con l'associazione, dedicandosi con grande impegno alla difesa dei diritti e delle associazioni omosessuali. Incredibilmente, mentre scriveva il vademecum giuridico "Homoséxuels, 101 réponses pratiques" (1994), egli pubblicava anche alcuni studi sulla liturgia molto apprezzata negli ambienti lefevriani da lui frequentati (L'Âge d'or de la chasublerie, 1992). Per completare un quadro già poco chiaro, diciamo che il giornalista Serge Faubert ("Les cathos au secours des sectes", L'Evenement du jeudi, 13-19 giugno, 1996), di solito molto ben documentato, sostiene che sia Séguy che Florand hanno partecipato per anni a conferenze organizzato dal partito xenofobo Front National. Non sorprende trovare il duo Séguy - Florand elogiato su un sito di Scientology.

Il terzo dirigente del CESNUR Francia è il Prof. Roland Edighoffer (Università di Parigi-III-Sorbonne-Nouvelle), anche lui editore di Aries. Edighoffer è un noto studioso di storia massonica, molto apprezzato negli ambienti delle logge più tradizionaliste.

Che senso ha il CESNUR?

Tutto questo elenco di avventurieri coinvolti in mille faccende altrettanto strane, sembra talmente complesso da indicare solo che il CESNUR non è ciò che pretende di essere. Ma che senso hanno le sue attività?

Una cosa che sembra emergere è una convergenza di interessi, all'origine molto diversi. Da una parte abbiamo un progetto originario, sviluppato negli ambienti di una sedicente "destra contro-rivoluzionaria" cattolica italiana, che però si allarga anche ad altri settori, da alcuni veri e propri "mercenari della ricerca" del mondo anglosassone a una Nuova Destra francese con caratteristiche abbastanza diverse.

Per quanto riguarda l'area francese, si tratta di individui che gravitano tutti in un'area tipicamente francese, che cerca di conciliare estremismo di destra, integralismo cattolico e tentazioni esoteriche; un'area certamente vicina alle logge più conservatrici.

Secondo la rivista Faits & Documents (n. 27, 15.5.97, p. 5), abbastanza addentro a tali ambienti, tutto il direttivo del CESNUR - Faivre, Séguy ed Edighoffer non sarebbero solo studiosi della Massoneria, ma essi stessi membri della Grande Loge Nationale de France. Questa loggia di tendenza mistica e conservatrice è l'unica a essere riconosciuta dalla frammassoneria anglosassone richiede ai propri aderenti una dichiarazione di fede assoluta in un "dio rivelato" ed espelle i membri che frequentino logge che accettano atei o donne. La loggia si era quasi estinta negli anni '60, con il ritiro del personale militare statunitense dalla Francia, ma si è ripresa anche grazie a notevoli aiuti economici provenienti dagli Stati Uniti. Almeno fino ai numerosi scandali che nel 1999 hanno travolto questa "loggia degli affari", la GLNF è stata l'obbedienza massonica con il maggior numero di aderenti.

In ogni caso, Antoine Faivre ha collaborato - e secondo Faits & Documents anche diretto l'organo ufficiale della GLNF, Les Cahiers de la Loge Villard de Honnecourt. Certamente, sulla propria pagina Internet, il massone Patrick Negrier della GLNF, studioso di patristica presso un'abbazia benedettina (notiamo anche qui l'inattesa congiunzione di elementi apparentemente discordanti), si vanta di aver organizzato un convegno per commemorare l'autore ed esoterista Serge Hutin, con la partecipazione di "eminenti filosofi, esoteristi e massoni" quali Marie-Magdeleine Davy, Antoine Faivre, Roland Edighoffer, Jacques Fabry, Robert Amadou, René Alleau, Jean-Pierre Bayard.

Il terzo elemento che caratterizza il CESNUR ci porta nel mondo del "neoconservatorismo" statunitense, che Introvigne - da sempre interessato agli Stati Uniti - indica da anni come il modello per la creazione di una destra europea. Un modello forse meno romantico di quello dei crociati sognati da Plinio Corrêa de Oliveira o dei sogni esoterico-indoeuropei di certi francesi, ma infinitamente più efficiente, e che si fonda sull'alleanza tra molte imprese religiose e molte imprese economiche, che hanno come principali nemici la laicità dello Stato.

Questo spiega il problema fondamentale, che in Italia lascia sempre perplessi: come mai il CESNUR, pur essendo espressione di un movimento cattolico estremista, si batte strenuamente contro quelli che Introvigne etichetta collettivamente "movimenti anti-sètte" (dall'americana A.F.F. all'italiano CICAP (3) , che accusa di farsi portavoce di "intolleranza religiosa", di metodi di intervento barbarici ("deprogrammazione") e di teorie facenti perno sul "lavaggio del cervello". Si tratta in gran parte di accuse false - ad esempio in Italia non vi sono mai state "deprogrammazioni", negli Stati Uniti non se ne fanno più da decenni; l'etichetta di "lavaggio del cervello" fu introdotta negli anni '50 per descrivere situazioni estreme di coercizione fisica e oggi non si usa più.

Il CESNUR si accanisce in particolare, a volte - come si potrà vedere dagli articoli in questo sito, anche con evidenti menzogne - contro le testimonianze di ex-membri di gruppi "settari".

L'Avvocato Introvigne Massimo Introvigne - tutt'ora a capo dell'organizzazione - quale esercita la professione presso lo studio Jacobacci & Perani (4) come procuratore legale specializzato in materia di brevetti e diritto d'autore. Fino all'apertura del nostro sito, si è spesso presentato come "professore" e "sociologo". In realtà dal 1994 egli insegna per una settimana all'anno all’Ateneo Regina Apostolarum di Roma, ente privato dei "Legionari di Cristo", sprovvisto del titolo di "Università pontificia" (5), un incarico da cui sembra sia stato gentilmente estromesso un paio di anni fa.

In precedenza, egli aveva anche insegnato per due anni in un Istituto di Scienze Religiose di Foggia, diocesi di Mons. Giuseppe Casale, fino a qualche tempo prima Presidente del CESNUR, che però sembra aver chiuso completamente i rapporti con l'organizzazione.

Tradizione, Famiglia e Proprietà

Alleanza Cattolica, come abbiamo detto, si vanta di rifarsi al "magistero" di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), "un uomo di fede, pensiero e azione", leader spirituale di T.F.P., Tradizione, Famiglia e Proprietà, attiva in "25 paesi e 6 continenti".

La T.F.P., che ha subito recentemente una scissione, è uno dei movimenti più estremisti mai sorti in America Latina, promotore di una "crociata" latifondista a scapito della riforma agraria in Brasile. Il suo fondatore si presenta come "il principale filosofo" di tale dottrina e autore di "15 libri e oltre 2500 saggi e articoli", nei suoi scritti - che spaziano da Rivoluzione e Contro-Rivoluzione a La Chiesa nello Stato Comunista. L'impossibile Coesistenza - invoca apertamente l'instaurazione di un regime mondiale 'cristiano' basato sulla repressione e su una gerarchia di tipo medievale.

"La santa schiavitù alla Madonna [...] - Questa consacrazione è di una mirabile radicalità. Essa comprende non solo i beni materiali dell'uomo, ma anche il merito delle sue buone opere e preghiere, la sua vita, il suo corpo e la sua anima. Essa non ha limiti, perché lo schiavo, per definizione, non ha niente di suo. In cambio di questa consacrazione, la Madonna agisce nell'interiorità del suo schiavo in modo meraviglioso, istituendo con lui un'unione ineffabile" (Plinio Corrêa de Oliveira, La devozione mariana e l'apostolato contro-rivoluzionario, in Cristianità, organo di stampa di Alleanza Cattolica, nov.- dic. 1995, p. 15.)

L'organizzazione T.F.P. è stata più volte tacciata di essere un "culto" da quanti oggi Introvigne congederebbe come "movimenti anti-sètte" ostili all'esperienza religiosa, sebbene in passato, pochi anni prima della fondazione del CESNUR, abbia espresso con una certa intensità preoccupazioni analoghe a quelle avanzate da questi ultimi (6), che oggi al contrario ridicolizza e combatte.

"Durante la 23.a assemblea plenaria dei Vescovi brasiliani, essi hanno approvato una nota riguardante 'La Società Brasiliana per la difesa della Tradizione, della Famiglia e della Proprietà' consigliando i cattolici di non affiliarsi alla suddetta Società […]. Il suo carattere esoterico, il suo fanatismo religioso, il culto riservato alla personalità del suo fondatore e alla madre di quest'ultimo […] non possono assolutamente ottenere l'approvazione della Chiesa" (Osservatore Romano del 07.07.85, p. 12, n. 408, ed. settimanale in lingua spagnola, cit. Tradizione Famiglia Proprietà: Associazione cattolica o sètta millenarista?, Rimini 1996, frontespizio)

Nel 1984 la T.F.P. è stata messa fuorilegge in Venezuela, tacciata da una commissione parlamentare istituita allo scopo di essere una "sètta [...] di estrema destra [...] che distorce le menti dei giovani, trasformando i propri membri in fanatici e lavando loro il cervello".

"Almeno in Brasile, la sètta TFP mantiene una struttura paramilitare di monaci-guerrieri, chiamati le 'sentinelle dell'Occidente', che passano attraverso un duro addestramento paramilitare e indossano un abito con una catena come cintura (imparano a usarla come arma), alti stivaloni militari, fanno voti di silenzio e praticano regolarmente la flagellazione. Questo 'esercito' è composto da giovani piuttosto fanatici e violenti." (Pepe Rodríguez, El poder de las sectas, 1989, Ediciones B. pp. 233, 245, 246)

Negli anni immediatamente successivi a queste condanne alla T.F.P., Massimo Introvigne ha fondato il CESNUR, dando avvio a una frenetica attività pubblicistica, spesso sulle pagine dell'organo di stampa ufficiale di Alleanza Cattolica "Cristianità" (nella rubrica "La Buona Battaglia"), associandosi ai noti J. Gordon Melton ed Eileen Barker nel divenire in breve tempo uno dei massimi apologeti dei culti su scala mondiale. Ma la malasorte ha voluto che recentemente la stessa T.F.P. venisse inserita in una lista di "sette" redatta dal Parlamento francese. "Gli eminenti leaders della Nuova Destra americana Paul Weyrich (sinistra) e Morton Blackwell (centro) insieme al presidente della T.F.P. statunitense John Spann" (Bollettino delle 15 TFP, n. 6)

NOTA: Si consiglia in particolare la lettura del dossier "Tradizione Famiglia Proprietà - Associazione cattolica o setta millenarista?", disponibile a http://www.kelebekler.com/cesnur/txt/tfp01.htm

Sul rapporto tra Introvigne e i Testimoni di Geova, si veda anche "La Società Torre di Guardia smercia i libri di Introvigne" (http://www.kelebekler.com/cesnur/txt/introwts_it.htm)

Miguel Martínez

Riferimenti:

(1) Questa e le successive, dal documento programmatico dell'associazione - vedi il sito ufficiale del CESNUR

(2) Materialien zur Konferenz Streitfall Neue Religionen Internationale Tagung, Marburg/Lahn, 27. bis 29. März 1998 Veranstalter: CESNUR - Center for the Study of New Religions, Turin; REMID - Religionswissenschaftlicher Medien- und Informationsdienst e. V., Marburg

(3) Organismo di ricerca e di informazione, equivalente italiano del C.S.I.C.O.P., Committee for the Scientific Investigation of Claims of the Paranormal

(4) Studio legale Jacobacci & Perani, vedi qui. Stranamente, il dott. Introvigne non risulta iscritto all'Albo degli Avvocati di Torino

(5) Da una nota firmata da Sua Ecc. Mons. Michael L. Fitzgerald, Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, prot. n. 2291/96, Città del Vaticano

(6) Rif. http://www.kelebekler.com/cesnur/txt/test1.htm

lunedì 18 settembre 2006

A proposito della Lezione del Papa a Ravensbourg

Comunicato UCOII sulla Lezione del Papa a Ravensbourg

"In merito alla vicenda innescata dalla lezione tenuta dal Papa Benedetto XVI a Ravensburg, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia prende atto delle due successive precisazioni vaticane che fanno giustizia di ogni interpretazione dietrologica e ricollocano l’esternazione papale all’interno di un contesto accademico specifico.

E’ fuor di dubbio che ci sia stata una certa leggerezza nella scelta delle fonti utili per predicare in favore della fede, della pace e contro la violenza: il discorso di un imperatore sotto assedio non poteva essere tra i più sereni nei confronti dell’ispirazione religiosa degli assedianti.

Anche la citazione del versetto 2,256 del Santo Corano, straordinario nella sua valenza di libertà religiosa (e confermato da altri versetti), ha peccato di una cattiva esegesi che lo ha presentato come risalente al periodo della prima predicazione del Profeta Muhammadc(pbsl), e quindi in fase di supposta debolezza, mentre tutti i commentatori sono concordi nell’attribuirlo al periodo medinese e cioè alla pienezza dello Stato islamico da lui guidato.

La contingenza internazionale, la scenario di “scontro di civiltà” che taluni vorrebbero inevitabile e stanno facendo ogni cosa affinché avvenga, impone a tutti un’estrema attenzione alle forme e ai contenuti delle esternazioni.

Siamo certi che il percorso di riconoscimento dell’Islam e di dialogo con i suoi fedeli, iniziato da Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II, proseguito da Paolo IV nella sua visita a Casablanca e nei due successivi incontri di Assisi da Giovanni Paolo II, non subirà nessuna battuta d’arresto e, a questo proposito, invitiamo Sua Santità a patrocinare, in qualche maniera, la prossima giornata del Dialogo Islamo-Cristiano in Italia che, come ormai consuetudine dal 2002, si celebra nell’ultimo venerdì di Ramadan, quest’anno il 20 ottobre.

Sarebbe un segno importante che fugherebbe ogni ombra minacciosa e darebbe a tutti coloro che si sono adoperati per mantenere aperti canali e spazi di dialogo proficuo, una nuova spinta e una nuova speranza.

L’UCOII, che ha scelto come sua linea fondante e strategica il dialogo con tutte le componenti della società italiana, privilegiando in particolar modo il mondo cristiano italiano, lancia un forte appello affinché il mondo islamico che ha reagito con tanta vivacità alle parole del Papa voglia accettare i chiarimenti forniti e rasserenarsi.

La somma dei valori spirituali e morali che uniscono musulmani e cristiani avranno, inch’Allah, la forza di far presto dimenticare questo incidente.

Questo il nostro auspicio dal più profondo del cuore."

http://www.islam-ucoii.it/


Il testo integrale della Lectio magistralis del Papa è consultabile a
http://www.avvenireonline.it/papa/Extra/Le+parole+del+Papa/discorsi/20060912.htm
_______

I rischiosi enigmi di Benedetto a Ratisbona (di Eugenio Scalfari)

DUNQUE, a pochi giorni di distanza dal suo discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha dovuto chiedere scusa all'Islam, ai credenti dell'Islam, alle piazze dell'Islam. Il fatto è inaudito. Non era mai accaduto prima; mai un pontefice romano aveva chiesto scusa se non, nel caso di Giovanni Paolo II, per fatti accaduti molti secoli fa. Ma, a parte le scuse "politiche", molte altre e assai importanti questioni restano aperte e meritano di essere discusse. A Ratisbona Benedetto XVI ha adombrato una terribile verità: non c'è un solo Dio. Più che una verità si tratta di una constatazione, anzi di un fatto accertato.

Ogni uomo che creda in Dio ne ha un'immagine che non è la stessa di quella d'un altro suo consimile, non è la stessa che quella persona può avere avuto in passato né di quella che potrà avere in futuro, non è la stessa che nelle diverse epoche e nei diversi luoghi i suoi simili hanno avuto e potranno avere. Terribile constatazione poiché constata, appunto, che l'immagine del Creatore non è oggettiva ma soggettiva, come del resto lo sono tutte le immagini. Terribile perché la Chiesa cattolica si fonda sul presupposto d'un magistero cui Dio stesso (suo Figlio) ha affidato la testimonianza e la custodia della sua immagine. Sicché riconoscere che ogni fedele ha la propria indipendentemente dal magistero episcopale e dalla sua intermediazione, rischia di minare alla base la struttura apostolica e gerarchica della Chiesa di Roma. Questa, a mio avviso, è la prima osservazione da fare per quanto riguarda il merito della "lectio magistralis" di Benedetto XVI all'università di Ratisbona. Molti si sono domandati perché mai il Papa-teologo si sia spinto così lontano. Le risposte sono state varie.

I più hanno ritenuto che la molteplicità di Dio constatata dal Papa sia incidentale nell'ambito d'un più ampio discorso di condanna delle violenze e delle guerre combattute in nome di Dio.

Altri vi hanno visto finalità politiche di avvicinamento alla Chiesa ortodossa e di presa di distanza da quelle protestanti. Altri ancora una sottolineatura del Dio razionale e "ellenistico", quindi europeo per eccellenza. Parleremo dopo di queste diverse interpretazioni e in particolare di quella ellenizzante. Per conto mio, penso assai più semplicemente che a Ratisbona Benedetto XVI sia scivolato, né più né meno, su un errore di comunicazione. Anche un Papa è fallibile, indipendentemente dal dogma. Benedetto ha sbagliato dal punto di vista della sua Chiesa.

Ha detto ciò che da un Papa non ci si aspetta. Ha messo in moto effetti più che spiacevoli. Ha fatto un involontario passo avanti sulla via dello scontro tra religioni. Ha infiammato la protesta e l'odio dell'Islam compattando i fondamentalisti con i moderati, i sunniti con gli sciiti, i Musulmani arabi con quelli non arabi. È questo che voleva? Sicuramente no e le scuse offerte ieri lo provano. È stato frainteso? Probabilmente sì. Ma soprattutto ha incrinato l'oggettività della trascendenza. La sua univocità. Ed è questo a mio avviso l'effetto più grave. Non certo per chi non crede, ma per chi crede e su quella credenza - quale che sia - riposa. Il secondo passo importante di quella "lectio magistralis" è stato l'identificazione del Dio cristiano con il Dio razionale.

Quello - ha detto il Papa - in cui l'uomo si rispecchia mentre il Creatore si rispecchia in lui. Il connubio tra fede e ragione al di fuori del quale non resterebbe che un Dio arbitrario e imperscrutabile. "In principio - ha ricordato Benedetto XVI - era il logos", correggendo o meglio forzando altre letture del Libro sacro. Del resto il connubio fede-ragione è soltanto uno degli aspetti della storia del cristianesimo. Esso convive con altri che fanno parte anch'essi di quella storia a pieno titolo; per esempio il rigoglioso filone della mistica, la testimonianza martirologica, la dottrina della grazia e della predestinazione.

Convivono addirittura nell'intimo di alcune grandi figure del pensiero cristiano, a cominciare da Agostino dal quale si dipana un filo che arriva fino a Pascal e poi a Kierkegaard. Quanto al Dio dell'arbitrio, nella Bibbia esso è di casa in una quantità di passaggi e raggiunge il culmine nel libro di Giobbe, in quelle splendide e terrificanti pagine in cui è Eloim a rivendicare orgogliosamente la sua immensa potenza, la sua inaccessibilità, la sua sterminata forza creatrice e la sua totale libertà di fronte ad una qualsiasi legge anche se da lui stesso promulgata.

Diciamo che la razionalità di Dio è una conquista che da Girolamo arriva fino alla Scolastica dell'Aquinate e che rimane, con gli appropriati aggiornamenti, la linea della gerarchia e della teologia riconosciuta. Ma in che modo Papa Ratzinger ripropone il Dio razionale? Nella "lectio" di Ratisbona la spiegazione è esplicita: il Dio razionale è il riflesso dell'uomo e il solo modo, o almeno il modo prevalente, attraverso il quale l'uomo può conoscere Dio. Da qui a concludere che Dio è una proiezione del pensiero dell'uomo il confine è sottilissimo.

Per la seconda volta nello stesso luogo e nello stesso testo il Papa romano sfiora la soglia della miscredenza: l'immagine di Dio è soggettiva e non univoca; il Dio razionale si specchia nell'uomo e l'uomo in lui. Feuerbach era arrivato all'affermazione blasfema che la divinità è un'invenzione umana per dare un senso alla nostra vita e rassicurarci dall'incubo della morte. Benedetto XVI non arriva ovviamente a questo ma dissemina la sua "lectio" di tracce che portano verso quella direzione. Se questa è la sua apertura alla modernità, gli sia reso il merito d'aver scelto l'approccio più rischioso rispetto a quello assai più tranquillizzante della convergenza etica e della "buona" laicità.

L'ellenismo e il cristianesimo. Si è capito, leggendo il testo di Ratisbona, che il Papa ci tiene molto a questa "contaminazione" culturale. Forse perché è dalla sintesi di quei due filoni di pensiero e di quelle due culture che scaturisce la differenza profonda e in un certo senso l'unicità del cristianesimo (e in particolare di quello cattolico) rispetto alle altre religioni monoteistiche. La modernità cattolica, la sua capacità di assorbire il presente e il futuro; infine la flessibilità della Chiesa di Roma nei confronti della scienza e dei suoi esiti. Si tratta di vera apertura? D'una innovazione rilevante della cultura cattolica rispetto a quella laica e all'autonomia della scienza? Questa supposta apertura è difesa da una muraglia di aggettivi che vanno tenuti nella debita considerazione.

Si parla nel documento di Ratisbona, come del resto si è sempre parlato nel linguaggio della gerarchia episcopale, di "buona laicità", di "ragione ragionevole", di "sincera adesione" della ricerca scientifica ai postulati delle leggi naturali; così anche per l'etica, la quale ha nel diritto naturale il suo imprescindibile ancoraggio. Infine l'obiettivo della razionalità, dell'autonomia delle coscienze, del libero arbitrio, dell'approccio scientifico alla conoscenza della natura, resta il raggiungimento del Bene, naturalmente nella visione cristiana illuminata dalla fede.L'ellenismo ha esaltato nell'evoluzione cristiana la dialettica delle autonomie: della coscienza, della scienza, dell'economia, della politica.

Da questo punto di vista è stato un innesto salutare in un organismo già predisposto a riceverlo ("Date a Cesare...") ma, beninteso, il rapporto non è né può essere paritetico. L'ellenismo e la dialettica delle autonomie sono pur sempre elementi subordinati alla concezione cristiana, ai paletti che essa pone alle autonomie in vista della salvezza e della "vera" libertà. In questa visione rientra anche la condanna del "neo-darwinismo" in favore del "disegno intelligente" (ancora un aggettivo significante) che consegue però un effetto non trascurabile nella delicatissima zona del sacro: quello di allontanare il Creatore all'inizio della creazione affidandone l'evoluzione alla natura "intelligente", cioè alla natura imbevuta dall'intelligenza del solo e trascendente "increato". Gli interventi successivi sono affidati all'amore, all'agape signoreggiata dal Figlio, non a caso incarnato a misura d'uomo. Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Non c'è innovazione in questo pensiero ma semmai una dose di antropomorfismo che degrada il resto del creato ad un rango inferiore nel quale non c'è anima e non c'è, ovviamente, paradiso.

Questa complessa e a suo modo grandiosa costruzione conferma la natura occidentale e soprattutto europea della visione religiosa di papa Ratzinger. Visione profondamente tradizionale, aggiornata e predisposta ad assorbire la modernità e, fortunatamente per tutti noi, lontana dalla tentazione teocratica prevalente nell'Islam. Nonostante le scuse diplomatiche di Benedetto XVI la "lectio" di Ratisbona rappresenta un colpo d'arresto al dialogo tra le religioni e il tentativo di imbrigliare la scienza, la filosofia, il discorso pubblico con la politica. Un appello identitario insomma, quello di papa Ratzinger.

Né avrebbe potuto essere diverso. Nei confronti dell'Islam e delle altre religioni un errore di comunicazione, nei confronti dei laici, tutto secondo copione. La risposta da parte nostra non può che essere l'accettazione del dialogo che, per quanto ci riguarda, parte dalla considerazione che la fede è un fatto privato e non fa parte del territorio della ragione e della scienza, ma mantiene una dialettica giovevole sia alla religione sia alla scienza sia alla dinamica delle idee, contro il fondamentalismo da qualunque parte esso provenga.

17 settembre 2006 - La repubblica

giovedì 17 agosto 2006

LA TOMBA DI PERIANDRO

Quel ministro afgano non era stato informato della grande menzogna imperante in Italia: che i nostri soldati non sono in Afghanistan come parte della coalizione che sta facendo la guerra, ma come turisti capitati per caso in quell'ameno esotico paese e visto che ci sono danno una mano a fare del bene, anzi del benissimo.

O forse era stato informato, ma avrà pensato che lo stessero prendendo in giro; avrà detto sorridendo imbarazzato ai suoi italici callidissimi interlocutori: andiamo, signori miei, vi sembra il caso di scherzare su cose così serie?

Non poteva immaginare che da cinque anni in Italia il governo in carica (quale che sia il colore della casacca, il siglario e la retorica di cui s'ammanta il mandrino di volta in volta dicasterialmente assiso) fa la guerra ma dice al paese che sta facendo la pace; nè poteva immaginare che l'intero parlamento italiano appoggia la guerra ma beninteso spacciandola per pace (con quattro sole eccezioni: tanti hanno votato contro la guerra di tutti i mille e passa fra senatori e deputati), facendo strame della legge fondamentale dello stato italiano, quella Costituzione che pure il popolo italiano ha voluto difendere con le unghie e con i denti ancora poche settimane fa; e non poteva infine immaginare che tutte le forze politiche italiane presenti dove si fanno le leggi sono unanimi nel fare la guerra, nel chiamarla pace, nel distruggere la base e la fonte stessa della legalità, nel perseverare nell'abominio delle stragi di cui la guerra consiste.

Subito dopo la rivelazione della nudità del re, la solita solfa, la solita canea, la solita colluvie, la solita logorrea dei dichiaratori a ripetizione. Per smentire quello che smentire non si può, poichè il decreto parla chiaro, e tutte le posticce pupazzate della propaganda non possono nascondere l'effettuale realtà: l'Italia è pienamente coinvolta nella guerra afgana, con proprie forze armate sul terreno sotto comando Nato e con proprie unità navali sotto comando Usa. L'Italia è lì in palese violazione della legalità italiana ed internazionale. l'Italia è lì come complice dell'invasione e dell'occupazione, delle stragi della guerra infinita. L'Italia è lì a far morire esseri umani.

E solo quattro parlamentari su mille si sono opposti alla guerra e alle stragi. E non c'è un solo partito rappresentato in parlamento che si opponga. E non c'è un solo giornale o televisione che si opponga.

E dei diecimila movimenti sedicenti pacifisti quasi solo i medici scalzi di Emergency hanno continuato a opporsi alla guerra e alle stragi; e della marea di parole che tracima ogni giorno nella rete telematica quasi solo questo foglio e chi penosamente lo imbastisce ha continuato tutti i giorni a opporsi. Con la forza della verità. E con un dolore ogni giorno crescente.
*
Tutte le guerre la stessa guerra. Tutti gli omicidi lo stesso omicidio. Vi è una sola umanità.

Peppe SINI

domenica 30 luglio 2006

Indulto

Esigere che la legge sia uguale per tutti è diventato "giustizialismo", esigere una politica estera che rispetti la nostra Costituzione è diventato "radicalismo anacronistico", Travaglio (un discepolo di Montanelli) è diventato un "comunista giacobino", Di Pietro (un cattolico moderato) è "sconnesso dalla realtà".

Ormai in Italia il grosso degli elettori (ossia gli unici soggetti che interessano ai politici) sono dei moderati riformisti di centro, che pendono leggermente a destra o a sinistra ma hanno sostanzialmente le stesse idee - cioè nessuna, o al massimo quelle che gli mette in testa il clero o la TV.

C'è da meravigliarsi sempre meno del fatto che chi, invece, idee e convinzioni ce le ha ancora, o perlomeno ne mantiene qualcuna residua, sia sempre più emarginato.

mercoledì 19 luglio 2006

Cari amici pacifisti

Oggi, cari amici pacifisti, devo narrarvi cose gravi e difficili e non per scarico di coscienza o per trovare giustificazioni o condivisioni da parte vostra, dato che so che la responsabilità di quello che decido è mia e intera la tengo. Cominciano le prime decisioni del governo e la situazione non è allegra, almeno in Senato, dove - come è noto - la maggioranza è risicatissima e le imboscate possono sempre succedere. L'opposizione per ora fa un'azione di disturbo regolamentare, un vero e proprio ostruzionismo, che è un diritto, ma non è una politica, se non quella di sfiancarci o trovarci sotto di uno o due senatori. D'altra parte il governo e la maggioranza sembrano voler usare molto il voto di fiducia per compattare senatori e deputati, il che però rende sempre più impacciata e difficile l'azione politica, tutta stretta fra richieste di verifiche, dispute regolamentari ecc. L'impressione di una sede che non ha rapporti con la realtà è sempre più forte. Il 28 giugno siamo state e stati bloccati si può dire l'intera giornata in una serie di impuntature (tutte sull'interpretazione del regolamento) che alcuni seguono con appassionato interesse e molti con atteggiamento di gioco e sfida: insomma una cosa alquanto grottesca. A me viene sempre in mente che se gli uomini avessero dovuto occuparsi non solo di se stessi, ma anche della cura di altri, non avrebbero costruito un mondo, specialmente politico, con regole senza senso.

Un voto di fiducia siamo riusciti a darlo ma il secondo della giornata è stato bloccato dall'opposizione appunto con una sequela di trucchi regolamentari che la maggioranza non sembra altrettanto attrezzata a respingere. Ero molto distratta e incapace di appassionarmi, solo dotata di pazienza, fomentata dall'aria condizionata dell'aula. Ero però molto agitata da quello che era successo il pomeriggio precedente, quando avevo ascoltato la relazione dei capigruppo del Prc di Senato e Camera sulle decisioni e dichiarazioni del governo sull'Afghanistan. Il governo era partito con dichiarazioni, sia del ministro degli Esteri che della Difesa, su posizioni che non si potevano accogliere, cioè di accettazione delle richieste della Nato (che non è nemmeno abilitata a chiedere ciò che chiede), cioè di mandare altre truppe italiane e armamenti, quasi a giustificazione per la decisione di andarcene dall'Iraq. Attraverso una trattativa non semplice perché quasi tutto l'Ulivo è d'accordo con simili posizioni, e dall'opposizione si profila una disponibilità dichiarata da parte dell'Udc di fare da stampella al governo su posizioni belliciste (non senza conti presentati). Una sorta di cinico ripugnante "scambio" Iraq con Afghanistan e un patto tra "moderati" apre alla "Grande coalizione" e allo "scarico" della sinistra radicale come fosse una partita a scacchi o a tombola.

Ciò che discutendo si è ottenuto è: nessun ampliamento di presenze italiane in Afghanistan, né dispiegamento fuori dalle zone in cui sono già stanziate, il mantenimento delle stesse spese per la missione ma con una ripartizione più orientata al civile che al militare, la scrittura di una mozione di indirizzo e l'istituizione di una commissione di monitoraggio, appunto per seguire e tenere sotto controllo tutto. Mi sembra importante che si sia riusciti a mantenere fermo il punto che nell'Unione ciò che è stato convenuto nel programma è impegnativo e ciò che nel programma non è contenuto deve essere trattato con lo stesso metodo del consenso che è servito per il programma. È ciò che è stato fatto sull'Afghanistan ed è anche ciò che mi ha convinta ad approvare l'accordo, pronta a mutare opinione se gli atti del governo non fossero limpidamente ancorati ad esso. Non è semplice ciò che è stato ottenuto ma sembra una prima forma di riduzione del danno e la convalida del metodo decisionale del consenso. Anche l'avvio di una commissione di monitoraggio è una cosa che va capita bene e utilizzata il più possibile.

Dire no all'accordo in questo caso accelera semplicemente lo scivolamento a destra del governo, il profilarsi di una maggioranza che raccoglie Casini e company su posizioni molto filoatlantiche e cosi' via. Il dilemma resta drammatico. La mia decisione resta sempre legata alla possibilità che verifiche insoddisfacenti mi inducano a mutare opinione.

Lidia Menapace, 3-7-06

****

La lettera di Lidia Menapace è espressione, in fondo, della stessa logica di Michele Serra, cui dedichiamo la Stella Polare di oggi. È la logica di un certo pacifismo che non sa fare i conti con la politica.

Sembra che non la conoscano, la "politica" , e adesso, anime belle, quando ci arrivano a contatto, non sanno che fare.

Si tratta di decidere se entrare nella logica di questa "politica" ormai ridotta alla gestione dell'esistente, o se guardare al fondo dei problemi. Il fondo è che la guerra afghana, come quella del Kosovo che la precedette, erano completamente illegali, oltre che, ovviamente, anticostituzionali. Ma lo schieramento che oggi ricatta i pacifisti le approvò e le fece. Adesso le difende. Non era scritto nel programma? Non lo era. Invece avrebbe dovuto esserlo. Ma Lidia Menapace, e molti altri, cosa pensavano che sarebbe accaduto?

Adesso sono in ambasce, e cedono. È sempre stato così: cedimenti sono la rinuncia ai princìpi in nome di presunte "necessità" invocate, di regola, da coloro che i princìpi li hanno già abbandonati da tempo.

Giulietto Chiesa

venerdì 23 giugno 2006

Dovere morale

In Italia siamo chiamati ad accogliere o respingere in blocco importanti modifiche alla Costituzione della Repubblica. È una scelta grave, che richiede conoscenza della Costituzione e delle molte modifiche da valutare. Purtroppo la grande maggioranza degli italiani non conosce la Costituzione, e non sa neppure che cosa sia una Costituzione: e questo vale anche per buon numero dei parlamentari.

Una Costituzione è l'atto con cui uno Stato si costituisce autonomamente di fronte alla comunità internazionale, ed è la Carta fondamentale che definisce l'identità di un popolo. Con la Costituzione vengono stabiliti:
- le finalità essenziali e irrinunciabili della convivenza (della Repubblica Italiana);
- gli strumenti per perseguire tali finalità, e cioè i così detti ‘poteri dello Stato'.

Le modifiche oggi sottoposte al referendum riguardano la seconda parte: i poteri dello Stato, che sono sostanzialmente tre.

Il potere legislativo: fare leggi che attuino al meglio le finalità costituzionali. Esse potranno variare al variare delle diverse situazioni storiche in cui la Costituzione deve essere attuata: la Costituzione è la legge per il legislatore, a cui impone direzioni e limiti. Il legislatore è solo il parlamento.
Il potere esecutivo: fare osservare le leggi, stabilirne i regolamenti attuativi e costituire le strutture punitive per i violatori, governare la finanza pubblica con le finalità e i limiti stabiliti dalle leggi. Tale potere spetta al governo.

Il potere giudiziario: giudicare se le leggi siano state violate, e punire i trasgressori nei modi stabiliti dalla legge.

Vi è poi, in ogni Stato democratico moderno, una Corte suprema – da noi la Corte Costituzionale – che deve giudicare inappellabilmente il rispetto delle direttive e dei limiti imposti dalla Costituzione ai singoli poteri, ed eventualmente dirimerne le controversie. Nei Paesi, come l'Italia, in cui alcuni poteri siano esercitati dalle regioni, dovrà dirimere le controversie fra poteri locali e poteri dello Stato.

Una netta separazione fra i tre poteri è oggi la migliore garanzia perché l'uomo e il cittadino vedano rispettati i propri diritti stabiliti dalla Costituzione o da organizzazioni internazionali a cui un Paese abbia aderito (tale limitazione della sovranità è prevista dalla Costituzione italiana). La garanzia consiste in questo: nessun potere può essere esercitato senza il consenso o il controllo di un altro potere: in tal modo nessun uomo o gruppo politico può assumere tutto il potere. Per evitare situazioni di paralisi reciproca fra i tre poteri, come era successo fra le due guerre in alcuni Paesi europei, la Costituzione italiana prevede la figura del Presidente della Repubblica (il Capo dello Stato) come custode della Costituzione stessa e dell'unità dell'Italia, dandogli specifici poteri di intervento. E su questo preciso punto il referendum ha particolare e gravissima importanza.

Sul potere legislativo il Presidente può rifiutare la firma di una legge approvata dal Parlamento, per motivi di incostituzionalità, e rinviarla alle Camere con messaggio motivato. Se la legge venisse rivotata senza le modifiche richieste, la legge è in vigore. Ma il Presidente ha un altro potere: il potere di sciogliere le Camere, un potere che spetta a lui solo. Ciò può avvenire se sia impossibile formare un governo che goda della fiducia del Parlamento, o anche quando venga confermata una legge palesemente anticostituzionale. Il Presidente non ha un suo potere legislativo, ma ha il potere di rimettere al giudizio del popolo gravi situazioni conflittuali.

Sul potere esecutivo il Presidente ha il potere di incaricare un nuovo presidente del Consiglio e di nominare (o rifiutare) i ministri da lui proposti. Il governo così costituito dovrà poi avere la fiducia del Parlamento: anche in questo caso non vi è potere esecutivo diretto, ma la scelta viene sottoposta al giudizio delle Camere.

Sul potere giudiziario il Presidente presiede il Consiglio superiore della magistratura: non può deciderne le deliberazioni, ma può autorevolmente consigliare e indirizzare.

Il Presidente è inoltre il capo delle forze armate e presiede il Consiglio superiore di difesa. Ha il potere di nomina di alcuni membri della Corte costituzionale e di alcuni senatori a vita.

Riforma come un cavallo di Troia

Le modifiche sottoposte a referendum sono spesso indicate come modifiche al sistema regionale: questo è vero. Ma è anche vero che in modo meno reclamizzato la riforma modifica radicalmente alcuni cardini essenziali della Costituzione riguardanti i poteri dello Stato e le garanzie dei cittadini. Vediamone alcuni elementi fondamentali.

- Il Presidente della Repubblica non nomina i ministri: li nomina il presidente del Consiglio, che ora dovrebbe cambiare nome in ‘Primo Ministro'. Modifica indicatrice di un profondo cambiamento. Salvo casi eccezionali, il Presidente della Repubblica non ha più il potere di sciogliere le Camere: anche questo passa al Primo Ministro.

- Il Primo Ministro, in base alle recenti leggi elettorali, è automaticamente quello indicato dai collegamenti delle liste elettorali. A lui spetta ora il potere di sciogliere le camere, di nominare e di cambiare i ministri.
Con questi due soli cambiamenti cade la severa separazione dei poteri legislativo ed esecutivo. Infatti il governo è completamente dominato dal Primo Ministro, che impone i ministri e li può cacciare quando non siano d'accordo con lui. Ma il Primo Ministro, con la legge elettorale vigente, è collegato automaticamente alla maggioranza del potere legislativo. Saranno così ben rari i casi di sfiducia al governo da parte del Parlamento, e inoltre vi è la clausola della ‘sfiducia costruttiva', che prevede la costituzione di un nuovo governo all'interno della stessa maggioranza che ha sfiduciato il precedente. In casi estremi irrimediabili, il Primo Ministro può sciogliere le camere di sua insindacabile iniziativa.

Legislativo ed esecutivo sono entrambi – salvo casi veramente eccezionali – nelle mani del Primo Ministro.

Né miglior sorte tocca al potere giudiziario, anche se per via indiretta. Infatti:
- la rigida separazione fra procuratori e giudici, con promozioni per concorso, potrebbe aprire la porta in modo indolore a controlli da parte dell'esecutivo. Si sa come vanno in Italia i concorsi. Il timore di apparire non graditi all'esecutivo induce spesso una ‘autocensura' nell'animo dei magistrati aspiranti. Con la riforma prospettata dell'ordina-mento giudiziario, l'intromisione diretta o velata da parte degli altri poteri è certo da attendersi;
- nell'ordinamento costituzionale ora vigente, solo 5 membri su 15 sono eletti dal Parlamento (cioè dalla maggioranza al potere). Con la riforma proposta sarebbero 7 su 15: sarebbe sufficiente un solo voto fra gli altri 8 per deliberare. Il rischio di controllo del potere legislativo è grande, proprio là dove deve esser controllata la costituzionalità di un atto del potere legislativo stesso.

Il referendum viene presentato come attuazione della devolution, ma al suo interno, come in un cavallo di Troia, viene introdotto un vero sconvolgimento dei principii stessi della nostra Costituzione.

Quanto alla devolution, accenniamo appena a tre punti che ci sembra sconvolgano l'intero sistema.

1 - Col Senato federale scompare il sistema bicamerale, salvo casi particolari di conflitto fra Camera e Senato federale, di soluzione complessa (e confusa), e con l'ultima parola riservata al Primo Ministro, e cioè al capo dell'esecu-tivo. L'attuale doppia lettura e votazione di una stessa legge è strumento importante di democrazia per due motivi. I tempi di passaggio fra le due assemblee consentono un dibattito pubblico (giornali, tv e altro) importante: spesso le correzioni fatte nella seconda lettura hanno consentito in passato miglioramenti notevoli. Ma è anche importante la differenza di età degli elettori: gli elettori della Camera – 18 anni – hanno cose nuove da dire, ma votano più per giovanile impulso che per riflessione sul bene del Paese, mentre gli elettori del Senato – 25 anni – sono già meno aperti alle novità, ma hanno anche maggiore maturità; e ad essi si aggiungono i senatori a vita scelti per lunga esperienza e per prestigio internazionale nei vari campi del sapere e dell'impegno sociale. La fine del sistema bicamerale è la fine di questa possibilità dialettica di vita democratica.

2 - Le regioni hanno potestà legislativa esclusiva su assistenza e organizzazione sanitaria e su organizzazione e programmi scolastici: sanità e scuola sono due diritti essenziali per ogni cittadino (e per ogni essere umano qui residente) che devono essere garantiti e regolati per tutti nello stesso modo e nella stessa misura. Cade il principio degli ‘inderogabili doveri di solidarietà' di ciascun cittadino verso tutti: tali doveri sarebbero attuati in maniera diversa da regione a regione.

3 - La potestà legislativa di Stato e regioni deve oggi rispettare la Costituzione, ma anche gli obblighi internazionali: quest'ultimo vincolo sparisce dalla nuova proposta. Vi sono qui nascoste due cose. La prima cosa è lo spirito antieuropeo e xenofobo e la velata chiusura all'altro: fra tali obblighi vi è la percentuale del Pil per i Paesi poverissimi e l'impegno contro l'inquinamento (Kyoto). La seconda cosa è che fra gli obblighi internazionali vi è anche il trattato e il concordato con la Santa Sede, che in base a questa modifica dell'art. 117 potrebbero essere violati anche da singole regioni. E questa insana modifica potrebbe avere ben più gravi conseguenze.

È certo che la Costituzione va rivista, soprattutto per snellire varie procedure e dare più spazio al sistema regionale. Ma i fondamenti della convivenza e i principi ispiratori non possono essere toccati. L'unità del Paese non può essere frantumata in una federazione di Regioni con ampia autonomia anche rispetto alle esigenze del bene comune: e vi è chi auspica, anche esplicitamente, una specie di secessione. Le supreme garanzie di libertà e di solidarietà per tutti i cittadini e i residenti, assicurate dalla separazione dei poteri e dalla funzione attiva del Presidente della Repubblica, non possono essere in alcun modo toccate. Si ricordi che negli Usa – uno Stato federale – molti singoli stati federati hanno e applicano la pena di morte mentre altri la rifiutano.

Si noti infine che questo referendum deve esser votato in blocco: non si può votare solo perché ci piace un punto o una parte. È strettamente doveroso considerarlo nel suo insieme: approvare le modifiche proposte vuol dire approvarle tutte.

Ed è seria opinione di chi scrive questi brevi cenni che la Chiesa italiana non possa dichiararsi ‘neutrale' di fronte allo scardinamento sistematico di una Costituzione che tutela gli inalienabili diritti di libertà e gli inderogabili doveri di solidarietà di ciascuno verso tutti. Queste nostre righe potranno aiutare, si spera, a comprendere meglio quale sia la posta in gioco, ben al di sopra di divisioni fra partiti o gruppi o maggioranze e minoranze varie.

È anche seria opinione di chi scrive che votare contro le modifiche costituzionali sul tappeto sia un grave dovere morale per ogni uomo di buona volontà: ricordiamo che Mussolini e Hitler andarono al potere per vie costituzionali simili a quelle ora proposte, senza alcuna rivoluzione, e in breve tempo assunsero nella propria persona tutti i poteri. Né vacanze o gite o incomodi vari possono passare avanti a questo dovere. È in gioco l'unità e la democrazia del nostro Paese, il futuro di noi tutti.

Mons. Enrico Chiavacci

giovedì 27 aprile 2006

Feste patronali: meno fuochi, più compassione

Riceviamo questo APPELLO ai sacerdoti, comitati feste patronali, politici e laici delle città d'Italia

Meno fuochi d'artificio, più compassione

La Casa per la nonviolenza rivolge un appello alle comunità cristiane e città d'Italia ad evolvere le feste patronali dallo spreco alla sobrietà compassionevole. Una innovazione nella tradizione che unisca nel progetto "Città e parrocchie ad energia solare" gli ideali altissimi della giustizia sociale, pace mondiale ed ecologia profonda. Matteo Della Torre (Casa per la nonviolenza, associazione di ispirazione gandhiana.) Fonte: Il grido dei poveri, mensile di riflessione nonviolenta. 15 aprile 2006

A San Ferdinando di Puglia, in provincia di Foggia, 15 mila cittadini festeggiano il santo patrono spendendo più di 60 mila euro (19.866 euro per spettacoli musicali, 14.700 euro per i fuochi d'artificio, 11.700 euro in luminarie, e così via sprecando). Un po’ per pigrizia, un po’ per superstizione, gli ossequenti alla tradizione ogni anno elargiscono i quattrini necessari ad una festa patronale anacronistica ed immobile, trasudante paganesimo festaiolo. Una solenne occasione di controtestimonianza cristiana.


Il tradizionalismo è un bulldozer

Per i prosternati al "si è fatto sempre così" il tradizionalismo conta più del Vangelo. Non importa in che secolo si vive, si ignorano i segni dei tempi con i quali l'homosfera e l'ecosfera lanciano segnali allarmanti di sofferenza e debolezza. Poco importa se a Mandala, un villaggio nei pressi di Calcutta, Sofia, 12 anni, per la disperazione si è impiccata, perché non mangiava da una settimana e la madre non aveva neppure una rupia (l'equivalente di 2 cent. di euro) per comprarle un pò di cibo. Men che meno interessa la sofferenza ecologica del pianeta, gli avvertimenti dei climatologi sul riscaldamento globale da accumulo di gas serra, la frequenza e distruttività degli uragani.

E' trascurabile che nel mondo si allarghi il divario tra gli osceni privilegi dei ricchi, che diventano sempre più ricchi, e le assurde sofferenze dei poveri, ridotti in uno stato di sempre maggiore povertà e degrado.

Se per mantenere queste disuguaglianze si combattono guerre sanguinose contro chiunque si ribelli o metta in pericolo gli interessi economici dei paesi dell'opulenza, né turbamento né vergogna sfiorano il cuore indurito dei cultori del quieto vivere: "anima mia, riposati, mangia, bevi e datti alla gioia" (Lc 12, 19). La tradizione dei fuochi d'artificio, luminarie e baloccamenti vari è un bulldozer che passa sopra tutto.


Fuoco e follia

Immaginate di prendere 600 biglietti da cinquanta euro, ben 30 mila euro (solo la metà dei soldi scialacquati per una festa patronale). Legateli a mazzetto e con un paf di fiammifero consegnateli alle fiamme. Bloccate le conseguenze di questo gesto in un'immagine. Cosa vedreste? Due elementi: fuoco e follia. In pochi secondi una fiammata ha ridotto in cenere l'equivalente monetario di 750 giornate lavorative di un contadino meridionale, 4500 ore di lavoro. Ha vanificato la possibilità di salvare da morte per dissenteria medica con gli integratori salini 250mila bambini, oppure guarire dalla lebbra 230 uomini, finanziare la costruzione di centinaia di cisterne o vasche per la raccolta dell'acqua piovana nei paesi colpiti dalla siccità, o ancora adottare a distanza per un anno 240 bambini poveri. L'elenco potrebbe proseguire a lungo.

Quante opere meravigliose si potrebbero realizzare con 30 mila euro. Tante quante ne suggerisce la generosità di chi ha il compito di gestire una simile somma. Consegnarla al fuoco stronca sul nascere ogni possibilità. L'atto piromane sarebbe considerato unanimemente l'opera di uno psicopatico. Se a compiere il medesimo gesto non è un individuo isolato ma un'intera comunità, il suo contenuto di follia viene ad essere diluito e distorto a tal punto dalla coscienza collettiva assopita da essere giudicato con favore. Perfino plaudito. Non certo dai poveri. Quelli che fame e disperazione rendono anche capaci di uccidere i figli che non possono più nutrire, che mangiano resti di cibo nelle discariche o carogne di cani. Queste vittime della miseria sono derubate ogniqualvolta un uomo o la collettività nelle sue dimensioni micro, meso e macro, va oltre i suoi bisogni fondamentali, appropriandosi arbitrariamente di quanto altri necessitano per vivere. E' l'elementare dinamica alla base di ogni ingiustizia sociale. La miseria disumana non è una fatalità, ma la diretta conseguenza di una lunga catena di egoismi individuali e comunitari. Gli enormi sprechi delle feste patronali sono un lampante esempio di egoismo comunitario, un beffardo pugno nello stomaco ai nostri fratelli poveri.


I sacrifici umani dei devoti

Un filo rosso lega i sacrifici umani delle religiosità primitive, quelli umani ed animali degli indù per compiacere la dea Kalì, il barbaro rito del lancio della capra dal capanile della chiesa durante la festa del santo patrono che, ancor'oggi, sopravvive a Manganeses de la Polvorosa (Castilla Leon), un piccolo paese nel Nord della Spagna, agli enormi "sacrifici" di denaro sperperati per ingraziarsi il santo patrono.

Al contrario di ciò che si può credere, in occidente i sacrifici umani non sono scomparsi. La religione dei devoti li celebra ancora, ma i riti truculenti e il sangue sono stati allontanati il più possibile, nel Terzo mondo! Cosa penserebbe uno dei milioni di bambini, "invisibili" agli occhi dei sazi, che sta morendo di diarrea se sapesse che l'equivalente monetario (donato o negato) di un solo botto potrebbe significare per lui la vita o la morte?

E poi, dopo aver consumato in nome della religione simili tradimenti del messaggio evangelico, col bel coraggio degli ipocriti si addossa la colpa di queste "esecuzioni capitali" al fato avverso, all'indolenza dei poveri, ai musulmani, ai "governi corrotti", a Berlusconi plurimilionario, a Bush guerrafondaio, al callo dolente della zia..., a tutti fuorché ai nostri atti di iniquità individuale e collettiva.

La superstizione pagana è confusa con la vera devozione. Munifici oboli per i fuochi d'artificio assicurano per un anno la protezione del cielo sui propri lucrosi affari, e, perché no, una caparra per il Paradiso.
Ogni religione, muovendo da una sana autocritica, ha il compito di purificare le proprie espressioni spirituali. Tra i numerosi e diversi aspetti negativi del cristianesimo da riformare, superando l'ostinata resistenza dei laici e i silenzi imbarazzanti del clero, c'è il modo di festeggiare i santi.


Le beatitudini "adesso"

E' quanto mai opportuna una educazione dei fedeli alle scelte cristiane coerenti al Vangelo attraverso una nuova catechesi. L'energia dirompente e rivoluzionaria delle beatitudini, il programma di vita dei cristiani, è celata sotto una spessa coltre di polvere, soffocata dal tanfo delle statue dei santi e dall'aria asfittica delle sacrestie.

Per troppi secoli la chiesa ha spiritualizzato il messaggio delle beatitudini, ha rassicurato i ricchi e predicato ai poveri la rassegnazione. Ma i poveri sono stanchi di attendere la conversione dei ricchi. Le scelte collettive di rottura con il passato e di cambiamento vanno fatte "adesso". Le beatitudini vanno rispolverate, rilette, vissute.

...

La festa degli entusiasti è diversa

Organizzare la festa patronale in modo nuovo, originale e pregnante non è un'impresa intentabile, a condizione che si facciano gli sforzi necessari per educare la gente al cambiamento di mentalità.

Occorre recuperare il senso autentico della festa, che è la celebrazione della presenza di Dio in mezzo agli uomini. La festa - scrive Lanza Del Vasto - è "entrare nell'entusiasmo. Entusiasmo significa che Dio è in noi. Dio è in noi ed è visibile". Questo significa fare festa. Con il nostro modo di festeggiare quale immagine di Dio comunichiamo? Quale entusiasmo sprigiona il nostro modo stanco e ripetitivo di festeggiare? E' vera festa? Quale carica di rivoluzione cristiana veicola? Nel nostro paese c'è un'inflazione di feste, ma manca la festa. Sarebbe bello se ci chiedessimo cosa pensa il Principe della Pace del nostro modo di festeggiare. Non sono domande oziose. Sono il nocciolo del problema!

Ci auguriamo che l'appello della nostra minuscola associazione stimoli l'avvio di una discussione seria sugli sprechi della comunità cristiana nelle feste patronali. Il tempo è maturo perché sacerdoti, politici e laici mettano da parte ogni tiepida prudenza o fatalistica inazione e si adoperino perché la gioia festiva dei cristiani sia spezzata in atto di condivisione con chi è oppresso dall'ingiustizia e giunga là dove dilagano povertà e sofferenza.

Per aderire inviare e-mail con nome, cognome, città e provincia a: sarvodaya@libero.it

venerdì 14 aprile 2006

DOVE SOFFIA IL VOTO DEL NORD

Il voto dell’Italia del Nord, l’Italia ricca, è andato massicciamente a Berlusconi, percentuali bulgare in alcune province del Veneto, adesioni forti persino nel Piemonte provinciale, cioè in quanto di più lontano esiste dal berlusconismo caciarone e bugiardo.

L’Italia ricca, l’Italia moderata compatta in difesa dei suoi privilegi, dei suoi soldi. Una sorpresa? Ma no, una scelta che si ripete tutte le volte che sono in gioco gli interessi, i privilegi, i soldi dell’Italia borghese e moderata. Un voto conservatore più provinciale che metropolitano, con aspetti diversi: ora fascista, ora clericale, ora manageriale o finanziario, ma sempre con lo stesso immutabile obiettivo: la difesa dei ricchi, compresi i poveri che si sentono ricchi.

Dico gli italiani poveri che si sentono dei potenziali Berlusconi: se ha fatto i miliardi lui, perché non posso farli anche io? Il voto che negli anni Venti ha preferito il fascismo alla democrazia, il voto che negli anni Quaranta si è rifugiato sotto lo scudo democristiano. Sorpresa?

Sorpresa per chi pensa a un’Italia diversa, a una borghesia diversa, non per chi conosce o dovrebbe conoscere sia l’Italia ricca e la sua classe dirigente, sia l’Italia povera ma desiderante, l’Italia che applaude Mussolini, il fondatore di un impero inesistente o comunque già dentro la sua dissoluzione, l’Italia della «zona grigia» che appena uscita dalla rivelazione della sua pochezza si ricompatta in difesa del suo primato.

Il 25 aprile del ’45 noi partigiani di “Giustizia e Libertà” scendemmo sulla città di Cuneo sicuri che fosse la nostra roccaforte: avevamo organizzato e diretto la guerra di liberazione e con noi c’era quasi al completo la gioventù della provincia. Vennero le elezioni e fummo cancellati dal trionfo democristiano, cioè dal trionfo del moderatismo, cioè dalla difesa dei soldi, di chi li aveva o di chi ragionava come se li avesse. Una sorpresa? Non direi, si tratta di sorprese che si ripetono.

I Bixio, i Medici del Vascello passano regolarmente dal Garibaldi in camicia rossa e dalla sua rivoluzione contadina ai generali di Casa Savoia, il socialista rivoluzionario Mussolini dal rosso al nero con marcia su Roma alla testa dello squadrismo agrario. Misteriose combinazioni di cause e concause su cui gli storici si affanneranno invano per capire, per spiegare, ma alla resa dei conti la storia è sempre la stessa.

È una sorpresa che il Nord ricco sia rimasto fedele a Berlusconi, anche se i borghesi ben perben avevano orrore dei suoi gusti, delle sue gaffe, del suo modo di vivere, di essere? Ma quale sorpresa? Avete letto sui giornali le retribuzioni dei manager e del finanzieri nel quinquennio berlusconiano? Non sono mai state così alte come durante il regime sovversivo e bugiardo delle grandi opere e della grande corruzione.

Non deve essere berlusconiano il voto quel manager Fiat che guadagna in un anno più di un miliardo di Euro, o di quello specialista in gallerie che ha quadruplicato in tre anni berlusconiani il capitale delle sue aziende? Certo, la conosciamo la borghesia dell’Italia ricca, conosciamo gli alto medio e piccolo borghesi civilissimi, colti e lontanissimi, come modo di essere, da Berlusconi, ma nella difesa del soldi come lui tenaci, come lui intransigenti. E conosciamo quelli che si sentono ricchi, che desiderano essere ricchi anche se non lo sono.

A ben guardare il ruolo di Berlusconi non è stato diverso da quello di Mussolini o di Masaniello, il ruolo del sovversivo che smuove le acque, moltiplica l’anarchia, fa un po’ di teatro perché intanto i costruttori di immaginari ponti sugli stretti, di ferrovie ad alta velocità che distruggono quel poco che resta del territorio, di Fiere campionarie senza strade di accesso si divorino quel che resta del mondo.

Melanconie, tristi fissazioni di un utopista fallito? Da una recente indagine sullo stato della Italia ricca, quella che ha votato Berlusconi, risulta che buona parte del territorio è stato cementificato, non produce più alimenti, non consente più lo scolo delle acque e la raccolta del rifiuti, non permette più una vita decente nelle città, sicché avviene l’e sodo all’inverso di chi ci era arrivato dalla campagna... e ora ne fugge.

Questa Italia sempre più ricca e sempre più sovversiva e autolesionista che ha votato Berlusconi e magari già lo rimpiange.


Giorgio Bocca, La Repubblica 13.4.06