lunedì 18 settembre 2006

A proposito della Lezione del Papa a Ravensbourg

Comunicato UCOII sulla Lezione del Papa a Ravensbourg

"In merito alla vicenda innescata dalla lezione tenuta dal Papa Benedetto XVI a Ravensburg, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia prende atto delle due successive precisazioni vaticane che fanno giustizia di ogni interpretazione dietrologica e ricollocano l’esternazione papale all’interno di un contesto accademico specifico.

E’ fuor di dubbio che ci sia stata una certa leggerezza nella scelta delle fonti utili per predicare in favore della fede, della pace e contro la violenza: il discorso di un imperatore sotto assedio non poteva essere tra i più sereni nei confronti dell’ispirazione religiosa degli assedianti.

Anche la citazione del versetto 2,256 del Santo Corano, straordinario nella sua valenza di libertà religiosa (e confermato da altri versetti), ha peccato di una cattiva esegesi che lo ha presentato come risalente al periodo della prima predicazione del Profeta Muhammadc(pbsl), e quindi in fase di supposta debolezza, mentre tutti i commentatori sono concordi nell’attribuirlo al periodo medinese e cioè alla pienezza dello Stato islamico da lui guidato.

La contingenza internazionale, la scenario di “scontro di civiltà” che taluni vorrebbero inevitabile e stanno facendo ogni cosa affinché avvenga, impone a tutti un’estrema attenzione alle forme e ai contenuti delle esternazioni.

Siamo certi che il percorso di riconoscimento dell’Islam e di dialogo con i suoi fedeli, iniziato da Giovanni XXIII nel Concilio Vaticano II, proseguito da Paolo IV nella sua visita a Casablanca e nei due successivi incontri di Assisi da Giovanni Paolo II, non subirà nessuna battuta d’arresto e, a questo proposito, invitiamo Sua Santità a patrocinare, in qualche maniera, la prossima giornata del Dialogo Islamo-Cristiano in Italia che, come ormai consuetudine dal 2002, si celebra nell’ultimo venerdì di Ramadan, quest’anno il 20 ottobre.

Sarebbe un segno importante che fugherebbe ogni ombra minacciosa e darebbe a tutti coloro che si sono adoperati per mantenere aperti canali e spazi di dialogo proficuo, una nuova spinta e una nuova speranza.

L’UCOII, che ha scelto come sua linea fondante e strategica il dialogo con tutte le componenti della società italiana, privilegiando in particolar modo il mondo cristiano italiano, lancia un forte appello affinché il mondo islamico che ha reagito con tanta vivacità alle parole del Papa voglia accettare i chiarimenti forniti e rasserenarsi.

La somma dei valori spirituali e morali che uniscono musulmani e cristiani avranno, inch’Allah, la forza di far presto dimenticare questo incidente.

Questo il nostro auspicio dal più profondo del cuore."

http://www.islam-ucoii.it/


Il testo integrale della Lectio magistralis del Papa è consultabile a
http://www.avvenireonline.it/papa/Extra/Le+parole+del+Papa/discorsi/20060912.htm
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I rischiosi enigmi di Benedetto a Ratisbona (di Eugenio Scalfari)

DUNQUE, a pochi giorni di distanza dal suo discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha dovuto chiedere scusa all'Islam, ai credenti dell'Islam, alle piazze dell'Islam. Il fatto è inaudito. Non era mai accaduto prima; mai un pontefice romano aveva chiesto scusa se non, nel caso di Giovanni Paolo II, per fatti accaduti molti secoli fa. Ma, a parte le scuse "politiche", molte altre e assai importanti questioni restano aperte e meritano di essere discusse. A Ratisbona Benedetto XVI ha adombrato una terribile verità: non c'è un solo Dio. Più che una verità si tratta di una constatazione, anzi di un fatto accertato.

Ogni uomo che creda in Dio ne ha un'immagine che non è la stessa di quella d'un altro suo consimile, non è la stessa che quella persona può avere avuto in passato né di quella che potrà avere in futuro, non è la stessa che nelle diverse epoche e nei diversi luoghi i suoi simili hanno avuto e potranno avere. Terribile constatazione poiché constata, appunto, che l'immagine del Creatore non è oggettiva ma soggettiva, come del resto lo sono tutte le immagini. Terribile perché la Chiesa cattolica si fonda sul presupposto d'un magistero cui Dio stesso (suo Figlio) ha affidato la testimonianza e la custodia della sua immagine. Sicché riconoscere che ogni fedele ha la propria indipendentemente dal magistero episcopale e dalla sua intermediazione, rischia di minare alla base la struttura apostolica e gerarchica della Chiesa di Roma. Questa, a mio avviso, è la prima osservazione da fare per quanto riguarda il merito della "lectio magistralis" di Benedetto XVI all'università di Ratisbona. Molti si sono domandati perché mai il Papa-teologo si sia spinto così lontano. Le risposte sono state varie.

I più hanno ritenuto che la molteplicità di Dio constatata dal Papa sia incidentale nell'ambito d'un più ampio discorso di condanna delle violenze e delle guerre combattute in nome di Dio.

Altri vi hanno visto finalità politiche di avvicinamento alla Chiesa ortodossa e di presa di distanza da quelle protestanti. Altri ancora una sottolineatura del Dio razionale e "ellenistico", quindi europeo per eccellenza. Parleremo dopo di queste diverse interpretazioni e in particolare di quella ellenizzante. Per conto mio, penso assai più semplicemente che a Ratisbona Benedetto XVI sia scivolato, né più né meno, su un errore di comunicazione. Anche un Papa è fallibile, indipendentemente dal dogma. Benedetto ha sbagliato dal punto di vista della sua Chiesa.

Ha detto ciò che da un Papa non ci si aspetta. Ha messo in moto effetti più che spiacevoli. Ha fatto un involontario passo avanti sulla via dello scontro tra religioni. Ha infiammato la protesta e l'odio dell'Islam compattando i fondamentalisti con i moderati, i sunniti con gli sciiti, i Musulmani arabi con quelli non arabi. È questo che voleva? Sicuramente no e le scuse offerte ieri lo provano. È stato frainteso? Probabilmente sì. Ma soprattutto ha incrinato l'oggettività della trascendenza. La sua univocità. Ed è questo a mio avviso l'effetto più grave. Non certo per chi non crede, ma per chi crede e su quella credenza - quale che sia - riposa. Il secondo passo importante di quella "lectio magistralis" è stato l'identificazione del Dio cristiano con il Dio razionale.

Quello - ha detto il Papa - in cui l'uomo si rispecchia mentre il Creatore si rispecchia in lui. Il connubio tra fede e ragione al di fuori del quale non resterebbe che un Dio arbitrario e imperscrutabile. "In principio - ha ricordato Benedetto XVI - era il logos", correggendo o meglio forzando altre letture del Libro sacro. Del resto il connubio fede-ragione è soltanto uno degli aspetti della storia del cristianesimo. Esso convive con altri che fanno parte anch'essi di quella storia a pieno titolo; per esempio il rigoglioso filone della mistica, la testimonianza martirologica, la dottrina della grazia e della predestinazione.

Convivono addirittura nell'intimo di alcune grandi figure del pensiero cristiano, a cominciare da Agostino dal quale si dipana un filo che arriva fino a Pascal e poi a Kierkegaard. Quanto al Dio dell'arbitrio, nella Bibbia esso è di casa in una quantità di passaggi e raggiunge il culmine nel libro di Giobbe, in quelle splendide e terrificanti pagine in cui è Eloim a rivendicare orgogliosamente la sua immensa potenza, la sua inaccessibilità, la sua sterminata forza creatrice e la sua totale libertà di fronte ad una qualsiasi legge anche se da lui stesso promulgata.

Diciamo che la razionalità di Dio è una conquista che da Girolamo arriva fino alla Scolastica dell'Aquinate e che rimane, con gli appropriati aggiornamenti, la linea della gerarchia e della teologia riconosciuta. Ma in che modo Papa Ratzinger ripropone il Dio razionale? Nella "lectio" di Ratisbona la spiegazione è esplicita: il Dio razionale è il riflesso dell'uomo e il solo modo, o almeno il modo prevalente, attraverso il quale l'uomo può conoscere Dio. Da qui a concludere che Dio è una proiezione del pensiero dell'uomo il confine è sottilissimo.

Per la seconda volta nello stesso luogo e nello stesso testo il Papa romano sfiora la soglia della miscredenza: l'immagine di Dio è soggettiva e non univoca; il Dio razionale si specchia nell'uomo e l'uomo in lui. Feuerbach era arrivato all'affermazione blasfema che la divinità è un'invenzione umana per dare un senso alla nostra vita e rassicurarci dall'incubo della morte. Benedetto XVI non arriva ovviamente a questo ma dissemina la sua "lectio" di tracce che portano verso quella direzione. Se questa è la sua apertura alla modernità, gli sia reso il merito d'aver scelto l'approccio più rischioso rispetto a quello assai più tranquillizzante della convergenza etica e della "buona" laicità.

L'ellenismo e il cristianesimo. Si è capito, leggendo il testo di Ratisbona, che il Papa ci tiene molto a questa "contaminazione" culturale. Forse perché è dalla sintesi di quei due filoni di pensiero e di quelle due culture che scaturisce la differenza profonda e in un certo senso l'unicità del cristianesimo (e in particolare di quello cattolico) rispetto alle altre religioni monoteistiche. La modernità cattolica, la sua capacità di assorbire il presente e il futuro; infine la flessibilità della Chiesa di Roma nei confronti della scienza e dei suoi esiti. Si tratta di vera apertura? D'una innovazione rilevante della cultura cattolica rispetto a quella laica e all'autonomia della scienza? Questa supposta apertura è difesa da una muraglia di aggettivi che vanno tenuti nella debita considerazione.

Si parla nel documento di Ratisbona, come del resto si è sempre parlato nel linguaggio della gerarchia episcopale, di "buona laicità", di "ragione ragionevole", di "sincera adesione" della ricerca scientifica ai postulati delle leggi naturali; così anche per l'etica, la quale ha nel diritto naturale il suo imprescindibile ancoraggio. Infine l'obiettivo della razionalità, dell'autonomia delle coscienze, del libero arbitrio, dell'approccio scientifico alla conoscenza della natura, resta il raggiungimento del Bene, naturalmente nella visione cristiana illuminata dalla fede.L'ellenismo ha esaltato nell'evoluzione cristiana la dialettica delle autonomie: della coscienza, della scienza, dell'economia, della politica.

Da questo punto di vista è stato un innesto salutare in un organismo già predisposto a riceverlo ("Date a Cesare...") ma, beninteso, il rapporto non è né può essere paritetico. L'ellenismo e la dialettica delle autonomie sono pur sempre elementi subordinati alla concezione cristiana, ai paletti che essa pone alle autonomie in vista della salvezza e della "vera" libertà. In questa visione rientra anche la condanna del "neo-darwinismo" in favore del "disegno intelligente" (ancora un aggettivo significante) che consegue però un effetto non trascurabile nella delicatissima zona del sacro: quello di allontanare il Creatore all'inizio della creazione affidandone l'evoluzione alla natura "intelligente", cioè alla natura imbevuta dall'intelligenza del solo e trascendente "increato". Gli interventi successivi sono affidati all'amore, all'agape signoreggiata dal Figlio, non a caso incarnato a misura d'uomo. Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo. Non c'è innovazione in questo pensiero ma semmai una dose di antropomorfismo che degrada il resto del creato ad un rango inferiore nel quale non c'è anima e non c'è, ovviamente, paradiso.

Questa complessa e a suo modo grandiosa costruzione conferma la natura occidentale e soprattutto europea della visione religiosa di papa Ratzinger. Visione profondamente tradizionale, aggiornata e predisposta ad assorbire la modernità e, fortunatamente per tutti noi, lontana dalla tentazione teocratica prevalente nell'Islam. Nonostante le scuse diplomatiche di Benedetto XVI la "lectio" di Ratisbona rappresenta un colpo d'arresto al dialogo tra le religioni e il tentativo di imbrigliare la scienza, la filosofia, il discorso pubblico con la politica. Un appello identitario insomma, quello di papa Ratzinger.

Né avrebbe potuto essere diverso. Nei confronti dell'Islam e delle altre religioni un errore di comunicazione, nei confronti dei laici, tutto secondo copione. La risposta da parte nostra non può che essere l'accettazione del dialogo che, per quanto ci riguarda, parte dalla considerazione che la fede è un fatto privato e non fa parte del territorio della ragione e della scienza, ma mantiene una dialettica giovevole sia alla religione sia alla scienza sia alla dinamica delle idee, contro il fondamentalismo da qualunque parte esso provenga.

17 settembre 2006 - La repubblica

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Riflessioni sulle reazioni scomposte al discorso del papa di Paolo Farinella, prete

Ho letto il comunicato di NSC. Ho letto altri interventi. Ho letto molto di quello che è stato pubblicato in questi giorni. Mi trovo a disagio e non condivido quasi nulla di ciò che viene detto e scritto, nonostante senta e rispetti la buona fede di chi ha scritto e/o ha parlato.

Per fugare ogni equivoco ripeto che ho appena dato alle stampe un libro intero, frutto di tre anni di ricerca, sulla stupidaggine della «civiltà occidentale» e lo scontro di civiltà, tra i cui cultori e fautori annovero anche Joseph Ratzinger prima e dopo papa. Chiarito ciò, mi pare che tutti gli interventi siano carenti di metodo e in molti trovo un atteggiamento preconcetto: anche se risuscitasse i morti, questo papa non piace. Ergo sbaglia sempre. E’ evidente che molti non hanno letto il discorso, altri lo hanno travisato preventivamente, altri lo hanno travisato ex post… scientemente perché detto dal «pastore tedesco». A me preme capire che cosa sta succedendo e non solo nel piccolo stagno dell’Italia, ma nel mondo intero e voglio capire il contesto delle cose, altrimenti di estrapolazione in estrapolazione rischiamo di morire di freddo in pieno mese di agosto. Esamino i fatti come li vedo io

1° fatto. A Regensburg il 12 settembre 2006, papa Ratzinger espone una lectio magistralis su «Fede, Ragione e Università. Ricordi e riflessioni». La lectio è di un genere letterario misto: è evocativo e rievocativo, con afflati storico-filosofici e anche teologici. Tutto nel solco della tradizione teologica cattolica (teologia fondamentale). Si può condividere o no, è una relazione accademica senza «infamia e senza lode». Da uno come lui che parte professorino, è consultore di un gigante del concilio, il card. Frising, diventa prefetto della congregazione della fede e poi alla fine gli scappa anche il papato, mi sarei aspettato molto, molto di più, anche a livello di ricordi e di testimonianza. Lui ha scelto il taglio che ha voluto.

2° fatto. Il tema della lectio non era l’Islam, ma «Fede e Ragione», e un passo centrale, ma esclusivo è la condanna di ogni costrizione alla fede con la violenza e la forza. E’ positivamente l’affermazione della libertà religiosa, sancita dal concilio Vaticano II. La citazione di Manuele II Paleologo, accademicamente parlando, è perfetta perché il papa la cita, ma non la fa sua. Precisa, infatti, che l’intero dialogo è stato trascritto dallo stesso imperatore qualche anno dopo (non è dunque un resoconto neutro, ma interessato) e dice [testualmente] che «in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce, [l’imperatore si rivolge al suo interlocutore [persiano] semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo:…» e qui cita la frase incriminata: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava», dopo avere citato il Corano nella sura 2, 256 («Nessuna costrizione nelle cose di fede») e mettendo in evidenza la possibilità di una evoluzione nel pensiero del Profeta dalle origini alla maturità. In sostanza è una tiepida applicazione del metodo «storico-critico» al pensiero del Profeta come da ormai quattro secoli noi cristiani applichiamo al vangelo e alle parole di Gesù. Dov’è lo scandalo?

3° fatto. Si sono scatenate le folle «musulmane» che hanno reagito anche ammazzando gratuitamente una donna solo perché discendente dei crociati che nelle parole del papa (capo dei crociati) avrebbero hanno «offeso» il Profeta. Luoghi di culto date alle fiamme o assaltate. Sono convinto che nessuna di queste folle ha letto il discorso e la citazione, ma esse sono manovrate per fini interni e per egemonie internazionali. La reazione del mondo musulmano è pilotata, guidata e voluta indipendentemente dalle frase del papa, perché oggi qualsiasi occasione è buona per fare la voce grossa e presentare un mondo arabo-islamico assediato dal mondo infedele che s’identifica con il mondo cristiano tout-court. Possibile che nessuno sia in grado di fare un mino di discernimento e di valutazione altre i due centimetri del proprio naso? Non è un caso che le vittime designate di questa reazione non è tanto il vaticano, ma quelle forme di islamismo che vengono identificate strumentalmente come «moderati» che temono di essere scavalcati e di perdere quindi la loro rappresentatività. Il richiamo degli ambasciatori in vaticano è un fatto politico che esula dalle dichiarazioni del papa, ma affermano davanti al mondo e alle telecamere «chi rappresenta» gli interessi del musulmanesimo e chi invece è complice con il corrotto «occidente»: i cosiddetti musulmani moderati sono fumo negli occhi del fondamentalismo di matrice musulmana. Chi giustamente s’indigna per le il connubio «religione-politica» in Italia, in Europa e nel mondo, deve essere coerente e deve pretenderlo anche dai politici e dai religiosi musulmani. Noi non possiamo accettare che il presidente dell’Iran ritiri l’ambasciatore dal Vaticano per una questione che riguarda le relazioni tra religioni. Se accettiamo che Mahmoud Ahmadinejad in qnuanto presidente del suo paese possa parlare come papa, noi rinneghiamo la separazione tra Stato e Chiesa per la quale ci battiamo in Italia. Non vi possono essere due misure.

4° fatto. Non esiste «l’Islam», esistono cento, mille Islam e ciascuno spesso in guerra con gli altri. Non esiste un interlocutore rappresentativo di tutti gli Islam, per cui è anche difficile muoversi in questa galassia di mondi chiusi. L’unico punto di forza è la lingua araba che pur non essendo unica, permette la comprensione a qualsiasi arabo di intendersi con un altro arabo. Quale Islam è stato offeso, quello sciita, quello sunnita, quello wahabita, quello kharagita oppure i musulmani ismailiti, sufriti, nuqqariti, idabiti, alatiti, sufiti, ecc. ecc.? A chi deve chiedere scusa Ratzinger? a quale di queste forme di islamismo? Il mio parere è che il pluriforme Islam come sistema non accetta che, attraverso la tv e internet, le sue masse escano dal loro isolamento e vedono le migrazioni anche come fuga da una religione che spesso s’impone in forma ossessiva e non lascia spazi alle libertà individuali. Il mondo moderno fa paura agli Imam (che non sono autorità, ma corrispondono, tanto per capirci, a qualcosa di poco di più dei nostri sacristi: non hanno una formazione specifica né liturgica né teologica, sanno leggere e forse cantare) che gestiscono un potere politico, economico e anche morale sulle coscienze. Tutto ciò sta entrando in crisi e queste reazioni abnormi ne sono la prova logica.

5° fatto. Nelle scuole ancora oggi a circa un miliardo e 200 milioni di musulmani sparsi nel mondo si presenta il cristianesimo come la religione dei «crociati» e ogni cristiano in terra araba (ne ho fatto l’esperienza per cinque lunghi anni, giorno dopo giorno, ora dopo ora) è considerato come un discendente dei crociati, perciò infedele per definizione e quindi passibile di morte in qualsiasi momento. Domanda: che c’entro io con i crociati? Negli ultimi otto secoli, dopo l’ultima crociata, non è successo niente? Dobbiamo espungere i vv. 22-31 del canto XXVIII dell’Inferno di Dante perché Maometto vi è sepolto tra i «seminator di scandalo e di scisma»? Oppure dobbiamo cancellare la stessa scena dalla quattrocentesco affresco nella cattedrale di Bologna? Se non siamo in grado di fare distinzioni a livello di cultura, se non conosciamo la storia delle origini del musulmanesimo, allora hanno ragione i talebani afgani che hanno mandato in cenere i Budda del sec. V a.C. Mi pare che manchino le proporzioni sia nelle reazioni «occidentali» che in quelle «musulmane». Est modus in rebus.

6° fatto. Tutta la fantasmagorica galassia musulmana ha un approccio fondamentalista con la Scrittura, fino al punto che nelle università si insegnano come «regole» morfosintattiche anche gli errori materiali perché sono parola del Profeta. Certo, poi dopo avere stabilito la «regola» con l’errore si fanno in nota mille eccezioni e possibilità per recuperare ciò che non può essere sostenuto. Ci vorranno tre secoli perché i musulmani arrivino ad avere un approccio libero con il testo sacro come lo ha il mondo cristiano oggi. Nel frattempo che facciamo? Il rispetto deve essere circolare. Io devo potere citare il Corano e non essere accusato di blasfemìa perché è un libro che appartiene anche a me e posso esporre il pensiero del Profeta anche se può dispiacere a qualche fanatico o qualche politico che se ne serve, strumentalizzando le reazioni del mondo occidentale e alzando la posta sempre più in alto, manovrando le masse ignoranti (etimologicamente). Non per questo devo essere ucciso.
Nel mondo arabo in genere vige ancora la cultura del sultanato e della tribù, quindi della personalità collettiva per cui non esiste un concetto di «persona» come assoluto, ma solo quello dell’individuo come parte di un tutto gerarchico. per cui può essere eliminato senza tanti problemi, se non conviene al «tutto»: la figlia che si ribella al padre, la figlia che veste all’occidentale anche se nata in Italia.
Amici sinceri di religione musulmana, mi dicevano nelle conversazioni a Gerusalemme: «Con la vostra democrazia vi invaderemo, con la nostra religione vi distruggeremo» e pur essendo amici io ero sempre l’infedele e il pronipote dei crociati.

7° fatto. Stabilito ciò a livello di diritto e di principio, resta la questione dell’opportunità, anche se la citazione come è fatta non dava adito a reazioni come quelle che abbiamo visto. Il papa avrebbe potuto citare molti altri testi per affermare il principio della libertà religiosa e lo avrebbe potuto fare con espressioni più positive, citando direttamente il Profeta sul rispetto della fede che è incompatibile con violenza. Avrebbe anche potuto citare qualche esempio cattolico sull’imposizione della fede con la violenza come per esempio Bernardo di Chiaravalle, il più guerrafondaio dei medievali e avrebbe potuto dire a cattolici e musulmani che gli uomini crescono anche in comprensione e maturità e per fortuna non si fermano a quelle affermazioni perché la Storia cammina e lo Spirito la conduce. Non lo ha fatto. Perché? I casi sono due: o è un incidente o è voluto. Incidente, un discorso del papa, preparato e rivisto fino alle virgole a tavolino? Dubito che si tratti di un disguido. Personalmente propendo per il fatto che il papa e il suo entourage sapevano che vi sarebbero state reazioni abnormi oltre misura e nonostante ciò hanno calcolato il rischio. Motivo? Probabilmente per mettere il mondo occidentale di fronte alla reazione violenta e dire: «Avete visto? Scuotetevi, o voi che parlate tanto e non fate nulla»: parlate di diritti qui in Europa dove sono indiscussi, ma guardate nel mondo come sono conculcati quelli dei cristiani. A Novembre non vi sarà la visita in Turchia? Benedetto XVI è il card. Joseph Ratzinger che aveva detto no all’ingresso della Turchia in Europa. Capisco che c’è disorientamento in Vaticano, capisco che si cercano tutte le sponde di appiglio possibili, ma resta il fatto che nella dichiarazione di Bertone per spiegare il vero senso del discorso del papa non si trova di meglio che la citazione esplicita del concilio Vaticano II, cioè quell’evento dirompente del secolo scorso che Giovanni Paolo II e il prefetto della congregazione della fede Joseph Ratzinger-Benedetto XVI avevano messo in soffitta e svuotato della sua anima, annoverandolo tra i fatti ordinari della tradizione della Chiesa.

Conclusione: si può dissentire da questa politica miope e antievangelica, ma ciò non comporta che si debba condannare una citazione nel contesto di una lezione universitaria. Questo non è accettabile.
Personalmente penso che non dobbiamo chiedere nulla in cambio (Pera non parla di reciprocità?) agli immigrati, ma solo offrire ciò che possediamo di più grande e di più nobile: la nostra costituzione che tutela ogni singolo individuo e gruppo, il nostro rispetto in quanto persone e la nostra fede (chi crede) senza sconti e senza ambiguità. Tutto qui. Sono certo che la forza del diritto avrà la meglio sul fondamentalismo e la forza dell’amore avrà sempre la meglio sul sospetto e la violenza.
No, nessuno in forza della nostra democrazia c’invaderà perché nel momento in cui c’invade è anche invaso e contagiato e nessuno ci annienterà con la forza di qualsiasi religione: sono passati i tempi e definitivamente in cui si tagliavano le teste in ragione della religione. Oggi vi sono ancora sacche di questo tipo, ma sono gli ultimi rantoli del leone morente ed è per questo che vogliamo offrire agli immigrati qualcosa di più grande e di più forte: alla richiesta del permesso di soggiorno, esigere almeno un anno di scuola (a carico dei comuni), dove chi chiede di abitare e vivere in Italia impari a conoscerne la storia, la cultura, la dignità e le leggi a partire da quelle fondamentali dei diritti umani delle singole persone. Non possiamo tollerare che in Italia in nome di una cultura si possano infibulare le donne, si possano uccidere le figlie che non vogliono matrimoni combinati, si possano uccidere per una frase tra l’altro storica e all’interno di una riflessione accademica. Finché resteremo in questa emergenza, noi siamo ancora nel deserto a cavar acqua dai pozzi secchi.

Anonimo ha detto...

Ho letto e riletto il testo integrale del discorso tenuto dal papa a Regensburg e non riesco a capacitarmi sul perché di quella citazione che ha fatto scatenare le ire di parte del variegato mondo islamico.

Non penso di essere "prevenuto", ma a me non risulta affatto la necessità della citazione (*) ai fini del discorso che il papa vuole fare.

Quella citazione, oltre che inutile ai fini del discorso, è quanto mai "imprudente" ai fini dell'opportunità. Un'imprudenza grave da parte di chi, filosofo qaul si dice, dimentica un principio che io ho appreso studiando filosofia e che ricordo molto bene, il quale recita: "quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur". Se non vado errato è un principio di san Tommaso e che un educatore deve sempre comunque tener presente: "Tutto ciò che si recepisce, lo si recepisce a modo proprio!".

Il corrispettivo pedagogico di tale principio è il famore detto secondo il quale per insegnare matematica a Pierino bisogna conoscere Pierino oltre che la matematica.

Meraviglia che un papa non tenga conto di tutto questo. Alla fine del discorso, poi, come se non bastasse, il papa difende a spada tratta il processo dell'ellenizzazione del Vangelo, criticando i tentativi di "deculturizzazione" che storicamente sono stati fatti e che oggi stesso vengono, da più parti, invocati.

Come se si volesse inculcare che per poter essere cristiani bisogna prima ellenizzarsi e divenire occidentali.......! E' chiaro che identificando in un tutt'uno CHIESA-CRISTIANESIMO-OCCIDENTE, non si da altro che la stura a tutta la rabbia antioccidentale, (che in parte è anche mia) a coloro che dall'Occidente si sentono invasi, colonizzati e schiavizzati!

Personalmente non ho parole e non vedo affatto roseo l'orizzonte. Segnalo un bell'articolo di Marco Politi apparso su La Repubblica del 18 settembre 2006.

Un abbraccio "cattolico" (non romano né occidentale) a tutti

(*)
Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava"

Anonimo ha detto...

Aldo carissimo,

un pensiero telegrafico. Condivido pressocché integralmente quello che hai scritto ma c'è qualcosa di più, in questa vicenda, che mi appare di lampante evidenza: nella Chiesa abbiamo sempre più bisogno di gesti e presenze pastorali e non di freddi teologi, politici o professori più o meno dotti.

L'imprudenza, talora, è figlia di una certa arroganza intellettuale che impedisce la testimonianza dello stare acccanto alle persone, come Gesù ci ha insegnato, anche nell'impotenza delle soluzioni immediate. Non è un caso che quanti nella chiesa cattolica hanno cercato di opporsi alla storica richiesta di perdono per gli inadempimenti (peccati) del passato e del presente siano i più recalcitranti a indossare i panni dell'umiltà e della testimonianza senza gli orpelli del potere, quali che essi siano.

Rimane l'amarezza di aver dato l'impressione di poter gettare al vento sforzi decennali di pace in cambio di precisazioni di carattere teoretico del tutto ininfluenti nella vita reale delle persone.

Nel contempo, tuttavia, non bisogna assolutamente pensare che la maggior parte delle proteste e delle violenze in atto (lo vogliamo dire chiaramente "incivili" ?) contro persone e cose non debbano essere valutate senza vedere il carattere strumentale di chi ha scelto il perseguimento di obiettivi politici esclusivamente con la prepotenza del denaro e della sopraffazione, utilizzando i peggiori arnesi dei retaggi religiosi applicati alle politiche di riconquista e sfruttando miseramente i legittimi risentimenti storici di una parte cospicua del nostro mondo.

In ogni caso non è tollerabile impedire a chicchessia di esprimere il proprio pensiero, quale che sia il suo contenuto.